domenica 29 aprile 2012

Siamo tutti dei rifugiati

Ci sono tre tipi di immigrati qui in Svezia: ci sono quelli, come me, che sono venuti per lavoro; ci sono quelli che sono venuti per amore; e poi ci sono quelli che sono venuti per sopravvivere, temendo per la propria vita a casa loro. Siamo tutti dei rifugiati. Ognuno di noi è in cerca di un rifugio qui. In cerca di un lavoro dignitoso, in cerca dell'amore o in cerca di una vita semplicemente.

Ci sono comunque delle enormi differenze tra queste tre categorie di immigrati. In Svezia appartengo alla prima categoria, ma in Italia appartenevo alla seconda, quindi ho vissuto e vivo la differenza sulla mia pelle. La seconda categoria, il "rifugiato per amore", ha la situazione più privilegiata tra le tre. E' colui (o colei) che ha meno difficoltà ad inserirsi perché grazie ai legami sentimentali si guadagna una nuova famiglia. Far parte di una famiglia "locale" è il modo più efficace di conoscere veramente un popolo, le sue tradizioni e la sua mentalità. Perché nel posto di lavoro o accanto a una birra in un pub si possono fare tante chiacchere, ma è nell'intimità di una casa di famiglia che si capiscono molte cose, che si scoprono profondità nascoste e nessi inattesi. Per non parlare del fatto che non è affatto facile farsi degli amici svedesi qui in Svezia.

La terza categoria è quella che conosco meno e che, di conseguenza, mi incuriosisce di più. Sono i miei compagni al corso di svedese (SFI) e sono tra i miei studenti, ma non li conosco affatto. Sarei tentata di fargli tante domande personali, magari anche scomode, ma ovviamente non le posso fare. Mi incuriosisce ancora di più la situazione degli immigrati di seconda generazione, già nati e/o cresciuti in Svezia, che costituiscono più o meno la metà dei miei studenti, originari dei paesi più svariati del mondo. Durante un corso, grazie ai discorsi fatti a lezione e le chiacchiere fatte nelle pause magari verso la fine del corso quando si è già creata un po' di confidenza con gli studenti, mi arrivano dei frammenti di informazioni su cui basare un'impressione, ma non mi permetto mai di far loro delle domande personali.

Ho capito comunque che la situazione dei rifugiati veri, di coloro che sono scappati da una guerra o da una povertà insostenibile, è molto diversa dalla nostra. Loro non sono immigrati solitari, ma sono venute insieme alla famiglia allargata. Non solo nonni, genitori e figli, ma spesso anche zii e cugini. E credo che cambi tutto. Quello che mi incuriosisce di più, però, come ho detto, è la vita della seconda generazione. Come vivono loro? Come si sentono? Un po' svedesi e un po' no? E' un argomento difficile. L'altro giorno una mia studentessa di origine africana ma cresciuta in Svezia ha detto che considera la sua madre lingua lo svedese. Mentre un'altra di origine croata diceva che lei invece considera il croato la sua lingua madre. Alcuni colleghi mi dicono che lo svedese di questi ragazzi è peggiore degli svedesi "veri". Non sono ancora riuscita a capire quanto siano realmente integrati nella società svedese, se escono con i ragazzi svedesi o formano un gruppo da sè. A volte ho l'impressione che siano ben inseriti, altre volte invece mi sembrano separati. Non ho ancora ben capito la loro realtà.

Una cosa però ho capito: in Svezia non tutto è ciò che sembra. La verità è spesso celata da un velo di gentilezza. La gentilezza che nasconde tutto, che rende difficile capire molte cose. Inizio soltanto adesso a capire i loro discorsi, ma sono ancora lontana dal comprendere le sfumature in quel che dicono. Certo non posso dire che non ci sia più nulla da scoprire qui... Anzi, la vera scoperta comincia solo adesso.



La canzone ungherese in appendice

Ho già raccontato (qui), tanto tempo fa, di una rockopera ungherese, scritta all'inizio degli anni Ottanta sul primo re magiaro, Santo Stefano. Testo e musica sono l'opera di due membri del già citato gruppo Illés (i nostri Beatles che scrissero Good Bye London), Szörényi Levente e Bródy János. Di quest'ultimo ho riportato e tradotto una volta una canzone da solista, Ricordi da un centesimo.

Tutta la rockopera è un capolavoro assoluto, e a suo tempo ho messo qualche video di alcuni suoi pezzi. Adesso vorrei citarne un altro pezzo, una bellissima canzone toccante. Non sto a raccontare di nuovo la storia, l'ho già fatto nel post di un anno e mezzo fa. Aggiungo soltanto che questa canzone è cantata da Stefano, cioè il figlio del principe Géza ed aspirante re, e Réka, figlia del suo avversario, il capotribù Koppány.

István a király (Stefano il Re) - Oly távol vagy tőlem


Sei così distante da me

STEFANO:
Oh mio buon Signore, Gesù disse: chi di spada ferisce, di spada perisce,
Ma tra due fuochi solo un pazzo spera nella pace.
Dimmi quanto vale l'uomo se è senza peccato ma debole!
Dimmi quanto vale se si prepara ad una vittoria sanguinosa.

Oh mio buon Signore, io non so più a chi essere fedele.
La mia spada abbatte la tua legge se devo uccidere per proteggerti.
Dimmi quanto vale l'uomo se è senza peccato ma debole!
Dimmi quanto vale se si prepara ad una vittoria sanguinosa.

Sei così distante da me, eppure così vicino,
Non ti posso comprendere e non ti posso raggiungere.
Sei così distante da me, eppure così vicino,
Tu taci*, e io sento che il mio cuore risponde.

STEFANO (REKA) INSIEME:
Oh mio buon Signore, mi hai dato tu la mia anima e la mia situazione.
(Mio caro Signore, oh guarda giù a me!)
I miei nemici si schierano con me e il mio popolo si rivolge contro di me.
(Un fiore sbocciante nel tuo giardino.)
Dimmi quanto vale l'uomo se è senza peccato ma debole!
(Il mio cuore si spezza se penso a te.)
Dimmi quanto vale se si prepara ad una vittoria sanguinosa.
(Senza di te io appassisco.)

ENTRAMBI:
Sei così distante da me, eppure così vicino,
Non ti posso comprendere e non ti posso raggiungere.
Sei così distante da me, eppure così vicino,
Tu taci*, e io sento che il mio cuore risponde.

REKA:
Mio caro Signore, oh guarda giù a me!
Un fiore sbocciante nel tuo giardino.
Un fiore sbocciante nel tuo giardino.
Senza di te io appassisco.

(Per il testo in lingua originale vedi qui.)

* N.d.T. In ungherese la frase può avere un doppio senso. Il verbo 'tacere' in ungherese è hallgatni (qui: "te hallgatsz") che significa anche 'ascoltare'. Perciò questa frase può voler dire sia "tu taci" sia "tu ascolti". Scegliete voi qual'è la traduzione giusta. (La radice della parola è hallani che significa 'sentire', nel senso 'to hear').

martedì 17 aprile 2012

Primavera buffona

Si sa. Aprile è pazzerello. La natura scandinava però prende questo detto fin troppo sul serio. Ci ha fatto pure il pesce d'aprile! Dopo due settimane che sembrava quasi (e ripeto: quasi) primavera, il 1 aprile ha nevicato tutto il giorno. Il 2 aprile si è già sciolta tutta. Come se lo avesse fatto apposta. Poi la replica il Venerdì Santo. Giusto nel caso in cui non avessimo capito il concetto che ci sta prendendo per i fondelli. Gli piace così tanto questa saggezza popolare che la estende a tutta la primavera. Qui da marzo a maggio ogni mattina è una sorpresa. Che tempo farà oggi? Sole e 20 gradi o bufera di neve e meno 5? Uno ci prende quasi gusto.

Sabato siamo partiti per l'Italia. Per me è stata proprio una toccata e fuga, stamani sono rientrata. Dopo giorni di pioggia ininterrotta (come in tutta Europa, del resto), il giorno della partenza è finalmente una bella giornata di sole. Non fa caldo, ma almeno non c'è quella cappa deprimente sopra la nostra testa. Da internet apprendiamo invece che a Stoccolma e dintorni nevica. Per fortuna all'aeroporto di Skavsta (80 km da Stoccolma) di neve neanche l'ombra. Meno male.

Pesce d'aprile alla svedese

Stamani il rientro dall'Italia. In questi giorni ho visto davvero di tutti i colori. In Italia pioggia e sole si alternano. Stamattina, nel momento del decollo per fortuna niente pioggia, anzi, il cielo è semi-aperto. A circa metà volo il capitano annuncia che al nostro arrivo, surprise, troveremo la neve. Attimo di sconforto generale tra i passeggeri. Pure tra quelli svedesi. La delusione si respira nell'aria. Per me: attimo di panico. Abbiamo già cambiato le gomme! Speriamo bene... Infatti, appena sbucati dalle nuvole si vede tutto il paesaggio innevato. Scesa dall'aereo corro subito alla macchina, la ritrovo ricoperta da un sottile strato di neve. La pulisco e parto, nella speranza di trovare le strade pulite. In effetti, basta allontanarsi poco dall'aeroporto verso ovest e la neve gradualmente sparisce tutta. Arrivo a Örebro che splende il sole. Quasi riscalda (e ripeto: quasi). Passo da casa, faccio la doccia e mi riposo un po', e poi vado all'università. In queste due ore di riposo riesco pure a collezionare una nuova multa sotto casa. Ormai la quinta. Smetterò di contarle. Imparerò il codice della strada a forza di multe. Uffa! Lasciamo perdere... Non faccio in tempo ad arrivare al campus che si mette a grandinare. Grandini da un discreto spessore. Poveri ciclisti! Un'ora dopo dalla mia stanza vedo che la grandinata si trasforma in pioggia e poi smette. Di nuovo splende il sole. Il 17 aprile 2012 passerà nella storia (svedese) come la dimostrazione scientifica di una saggezza popolare. (Oltre che è il compleanno di due mie carissime amiche. Auguri S e M!)

Speriamo che, oltre ad essere una buffona, Madre Natura svedese sia anche pietosa e per quando torna il Marito lo aspetti in pompa magna. Considerando che torna dopodomani, la vedo difficile. Ma si sa. Aprile è pazzerello ed imprevedibile. E la Signora può essere anche di gran stile.

Non c'entra niente ma la adoro:

U2 - Stay (Faraway, So Close)


venerdì 6 aprile 2012

Coincidenze linguistiche

Imparare la prima lingua straniera è sempre la più difficile. Quando l'unico paragone che hai è la tua madrelingua - che non hai appreso a scuola, ma semplicemente vivendo - ti manca la consapevolezza di molte regole grammaticali. Certamente si studia grammatica a scuola, ma non con lo stesso metodo con cui si studia la grammatica di una lingua straniera. (Infatti, te ne rendi conto subito quando devi spiegare delle regole della tua lingua a uno straniero.) Molti concetti grammaticali si incontrano la prima volta quando si comincia a studiare una lingua straniera. Quando poi si studia una seconda lingua straniera viene spontaneo il paragone con le altre due lingue già conosciute. Ormai si ha il metodo, si conoscono i concetti grammaticali, c'è solo da riempirli con contenuti diversi. A seconda della nuova lingua, possono apparire anche concetti del tutto nuovi, ma il grosso si sa già. Tempi verbali, coniugazioni, declinazioni, generi, ecc. 

Certamente più la nuova lingua assomiglia alla tua o alle altre che conosci già, più veloce e facile è l'apprendimento. Dall'altro lato però maggiore è il rischio di confusione. Non è affatto facile tenere distinti nella mente due lingue molto simili come possono essere l'italiano e lo spagnolo o lo svedese e il norvegese. Quindi imparare una nuova lingua molto diversa ha i suoi vantaggi, anche se inizialmente le difficoltà sono maggiori.

Io ho il privilegio di avere come madrelingua una lingua molto particolare che non assomiglia a nessun'altra e con cui non posso capire nessun'altra lingua al mondo, neanche in una minima parte. Perciò per me imparare qualsiasi altra lingua vuol dire necessariamente imparare una lingua molto diversa dalla mia. Ora che sto studiando la quinta lingua indoeuropea (a parte l'inglese e l'italiano, in passato ho provato a studiare un po' di tedesco e spagnolo, e adesso sono alle prese con lo svedese), posso dire che la struttura grammaticale è esattamente la stessa in tutte e cinque con delle piccole variazioni.

Nonostante ciò la mia madrelingua mi aiuta spesso a imparare una nuova lingua. Mi diverte molto scoprire quelle che io chiamo "coincidenze linguistiche". Si tratta di espressioni o modi di dire simili. Le considero coincidenze perché probabilmente non c'è un legame diretto (storico-etimologico) tra le due espressioni, eppure sono costruite nello stesso modo. Al corso di svedese non è raro che mi capiti che qualcosa capisco al volo perché si dice uguale in ungherese, mentre è completamente diverso in italiano e in inglese. Mi capitò spesso anche al corso di tedesco a suo tempo ma le attribuivo all'influenza che il tedesco effettivamente esercitò sul lessico della mia lingua grazie ai forti legami storico-culturali (con l'Austria soprattutto, ma anche con la Prussia/Germania). Questa volta però è difficile parlare di legami storici tra Svezia e Ungheria.

Ecco qualche esempio:
- Il verbo se ut, 'sembrare' o 'avere l'aspetto di'. Per esempio: Den här killen ser bra ut. = Questo ragazzo è di bell'aspetto. This guy looks nice (e non 'looks out nice'). In ungherese: Ez a fiú jól néz ki. 'Kinéz' vuol dire letteralmente ser ut.

- La sequenza nelle date. Gli svedesi, come gli ungheresi, scrivono anno-mese-giorno. Quindi oggi è il 2012.4.6. e non il 6.4.2012 come per gli italiani o il 4.6.2012 come per gli americani.

-  Diverse parole composte. Lo svedese, come il tedesco e l'ungherese, si presta bene a formare delle parole composte, anche molto lunghe. Ed alcune di queste coincidono con il modo in cui è formata la stessa parola in ungherese. Due esempi: il dentista che in entrambe le lingue si chiama "dottore del dente", tandläkare in svedese e fogorvos in ungherese; il quadrato come forma geometrica si chiama "quattro angoli", fyrkant in svedese e négyszög in ungherese (e anche in tedesco: Viereck).

- La radice di alcune parole, come per esempio quella di 'pianta' (nel senso di vegetale) che in italiano deriva dal latino "planta" ('pianta del piede', perché 'plantare' ovvero 'spingere nella terra' era un modo per 'piantare', almeno secondo il Garzanti), in ungherese e in svedese ha come radice il verbo 'crescere': växt (letteralmente 'cresciuto') in svedese e növény (che però non significa 'cresciuto', ma solo ed esclusivamente 'pianta') in ungherese. La mia lingua poi si presta particolarmente bene alla creazione di nuove parole, essendo una lingua agglutinante. Non sono l'unica che la descrive come una "lingua LEGO", adatta alla poesia in maniera eccezionale. La radice della parola növény per esempio è , che come verbo significa 'crescere', ma come sostantivo significa 'donna'. Dal verbo poi sono formate le parole növedék o növekmény (incremento), növendék (allievo), növény (pianta), e molte altre.

- Poi ci sono alcuni false friends assolutamente incidentali, ma molto divertenti, tra lo svedese e l'ungherese. Così, ad esempio, la parola apa che in ungherese significa 'padre', mentre in svedese vuol dire 'scimmia'! Anche se con una pronuncia leggermente diversa. Meno male che io mio babbo lo chiamo apu (una variante vezzeggiativa), e non apa, se no immaginate quando mi viene a trovare in Svezia e gli svedesi mi sentono chiamarlo, che ne so, in un supermercato. :)
(In un contesto religioso-ecclesiastico, con riferimento a Dio e ai sacerdoti, però si usa un'altra parola, atya, che significa ugualmente 'padre', ma non nel senso di legame famigliare. Il Padre Nostro in ungherese è Miatyánk.)

- Un ultimo esempio di coincidenza linguistica, stavolta grammaticale, tra ungherese e svedese è la differenza tra preposizioni, prefissi e avverbi che indicano un luogo e quelle che indicano moto a luogo. Ecco a cosa mi riferisco: 'fuori' che può essere ut (luogo) o ute (moto a luogo, 'verso l'esterno') in svedese, e kint (luogo) o ki (moto a luogo, 'verso fuori') in ungherese; 'giù' che può essere nere (luogo) o ner (moto a luogo, 'verso il basso') in svedese, e lent (luogo) o le (moto a luogo) in ungherese); 'a casa' che può essere hemma (luogo) o hem (moto a luogo, 'verso casa') in svedese, e otthon (luogo) o haza (moto a luogo) in ungherese; 'qua' che può essere här (luogo) o hit (moto a luogo, 'verso qui') in svedese, e itt (luogo) o ide (moto a luogo) in ungherese. E la lista potrebbe continuare a lungo...

Le "coincidenze linguistiche" sono affascinanti almeno quanto l'etimologia. Mentre quest'ultima rivela i legami storici tra i diversi popoli, gli esempi sopra riportati mostrano che siamo tutti degli esseri umani e talvolta, indipendentemente l'uno dall'altro, arriviamo alla stessa conclusione.