venerdì 24 giugno 2011

Svedesità dalla A alla Ö

Eccoci in Svezia. Per poco più di una settimana prima di partire per l'Ungheria e da lì nuovamente in Italia.

Verso la fine del mio primo anno in Svezia posso dire di avere un'idea di quello che è questo paese e che sono i suoi abitanti. Ho imparato molto della Svezia, ma ancora non abbastanza. Mi piace, la trovo intrigante e piacevole. Se una volta ho dovuto lasciare l'Italia, credo che la Svezia sia stata un'ottima scelta, anche se in realtà casuale (leggete qui). Certo, sarebbe stato meglio non dover lasciare l'Italia, ma come direbbe un ungherese "ez van, ezt kell szeretni", ovvero è così, ed è da farmi piacere questo (traduzione approssimativa).

In questo post vorrei condividere con voi parte di quello che ho imparato di questo popolo in questi dieci mesi. Ci sono diverse parole svedesi che sembrano contraddistinguere questa gente, e io provo a proporvele in ordine alfabetico. Come già spiegato in un post precedente, nell'alfabeto svedese le vocali strane si trovano in fondo, perciò in svedese non si dice "dalla A alla Z", ma "dalla A alla Ö". 

Ecco alcune parole che dopo qualche mese in Svezia non si può non conoscere:

A come Anmälning, meglio traducibile con la parola inglese application. In italiano può essere una domanda o un'iscrizione. Insomma, strumento indispensabile della burocrazia che regna pure in Svezia.

B come Blommor ovvero fiori. Gli svedesi li adorano.

C come Cykla ovvero andare in bici. Piste ciclabili ovunque (certo lo spazio non manca), pompe gratis in giro per la città.

D come Drottninggatan ovvero Via della Regina. Una via con questo nome c'è in ogni città svedese. I motivi credo che siano evidenti (come anche il fatto che ci sia sempre anche una Kungsgatan ovvero Via del Re.)

F come Fika, la famosa parola che si presta tanto facilmente a scherzi tra gli italiani, ma che significa semplicemente pausa caffè. Si presta a scherzi pure tra gli ungheresi, anche se il significato è diverso. Fika in ungherese è una parola slang e indica il moccio (del naso), nonché in forma verbale significa parlare male di qualcuno. Ma non è per questo che ho scelto questa parola per la lettera F, ma perché per davvero contraddistingue il popolo svedese ed è una delle prime cose che impari venendo qui. La sacrosanta fika in ogni posto di lavoro tutte le mattine e tutti i pomeriggi, alle quali io partecipo raramente, per vari motivi (già spiegati una volta qui).

H come Hej ovvero ciao. La prima volta che uno viene in Svezia rimane un po' perplesso quando sente dire ovunque "Hej!". Dalle nostre parti (sia in Italia che in Ungheria) suona un saluto rozzo, qui invece è quello consueto e ufficiale. Lo puoi dire a chiunque, indipendentemente da età e stato sociale.

I come Innebandy ovvero floorball. E' uno sport molto popolare in Svezia, una specie di hockey senza ghiaccio.

J come Jättebra ovvero benissimo. E in generale il prefisso jätte, equivalente del suffisso italiano -issimo, il cui uso dilaga. Se vuoi sembrare una persona ben integrata nella società svedese, ci vuole almeno un jätte in ogni frase, che esso sia jättebra, jätterolig (divertentissimo) o jättefin (bellissimo, ganzo).

K come Kränka ovvero violare. Mi è stato spiegato che questo verbo è tipicamente svedese. Significa violare i diritti di un'altra persona, interferire nella libertà altrui, insultare, umiliare. La radice è krank che significa "malato" o "cattivo".

L come Lagom. La Parola Svedese per eccellenza. Intraducibile. Significa più o meno "il giusto", nel senso che né troppo, né troppo poco. La giusta via di mezzo, la misura giusta. Insomma, come meglio esprimere la svedesità con una sola parola?

M come Midsommar ovvero mezza estate. La festa più sentita della Svezia, in cui festeggiano l'arrivo dell'estate, che risale ad epoche pre-cristiane. Potete leggerne di più qui oppure sul blog di Morgaine che lo descrive perfettamente con la sua solita ironia divertente. 

P come Pappaledighet ovvero congedo parentale per padri, di cui avvalersi qui è la regola. Consiglio la lettura del blog di un padre italiano che vive in Svezia e racconta la sua esperienza di congedo parentale. Fatto sta che qui è del tutto normale vedere uomini (cioè maschi) per strada con la carrozzina o un bambino piccino e senza una donna nelle vicinanze. 

S come Sambo. Questa parola che sembra una danza latino-americana in realtà significa convivente. Proprio letteralmente: sam-bo = con-vivente. Ci sono molte coppie che non si sposano ma rimangono sambo, come del resto anche in altri paesi europei, ma la cosa che trovo curiosa è proprio questa parola, con la quale gli svedesi si riferiscono al compagno/a. Dicono "il mio convivente", min sambo. 

V come Vecka ovvero settimana. Il punto di riferimento organizzativo degli svedesi. Contano l'anno in settimane. Se hai un lavoro in Svezia ci devi fare l'abitudine. Un impegno non sarà dal 20 al 26 giugno, ma nella 25esima settimana.

Å come Åsikt ovvero punto di vista, opinione.

Ä come Älg ovvero alce, l'animale simbolo della Svezia.



Ö come Öl ovvero birra. Anche se gli svedesi bevono tutti i tipi di alcool immaginabili, la birra è sicuramente fra quelli più graditi e, al contrario del vino, la producono anche.

(Scusate se mancano alcune lettere dell'alfabeto, ma per quelle non mi è venuto in mente proprio niente...)

Trevlig Midsommar till alla! (Buona Festa di Mezza Estate a tutti!)

sabato 18 giugno 2011

L'Italia vista con gli occhi di un ungherese

Non i miei. Quelli di altri ungheresi. I miei occhi ormai non sono più gli occhi di un estraneo. Da tanto che non avevo l'occasione di vedere l'Italia con gli occhi dei miei connazionali. Invece durante questo soggiorno in terra italica mi si sono presentate addirittura due occasioni, per giunta in due situazioni molto diverse. Con conclusioni diverse.

Per primo un convegno di tre giorni nel Nord Italia al quale ho fatto un intervento insieme a un collega ungherese che è venuto da Budapest appositamente. Un collega che non conosceva affatto l'ambiente accademico italiano, non è mai stato in Italia prima se non da bambino per una breve vacanza e, logicamente, non parla italiano. Il convegno si era autodichiarato internazionale, con un call for papers aperto anche a ricercatori stranieri, per cui avevo avuto la pensata di invitare il mio collega ungherese con il quale sto lavorando su un articolo che pubblicheremo insieme in inglese, e il convegno sembrava (ed era) un'ottima occasione per presentare il nostro lavoro e magari ricevere qualche commento costruttivo. Anche se alla fine eravamo pochi relatori stranieri, il programma prometteva bene lo stesso perché diversi titoli di inverventi di colleghi italiani erano in inglese. Fatto sta che tutti, ma proprio tutti i relatori italiani hanno parlato in italiano! Meno male che il mio collega, parlando benissimo il francese e avendo studiato per diversi anni il latino, bene o male è riuscito a seguire gli interventi, soprattutto se i relatori usavano delle presentazioni proiettate (spesso scritte in inglese ma, mistero della sorte, spiegate sempre in italiano...).
Quindi il mio collega abituato, come confronto con l'Europa occidentale, all'ambiente accademico belga in cui aveva passato un periodo e che è caratterizzato (per come mi ha raccontato lui) da una conoscenza impeccabile della lingua inglese in cui ti fanno notare pure i minimi errori di pronuncia, è rimasto abbastanza sorpreso. E' riuscito però a cogliere il lato positivo e mi diceva che almeno si sentiva meno sotto pressione per la sua conoscenza dell'inglese. Peccato che è rimasto poi fregato dal fatto che la nostra relazione era preceduta dall'intervento di un collega belga che nonostante il suo inglese oxfordiano perfetto, visto l'andazzo delle cose, ha deciso di parlare in italiano (altrettanto ottimo), e la sua presenza ha compromesso un po' la leggerezza del mio collega. Insomma, tutto sommato, nonostante qualche nota negativa riguardo all'organizzazione (per esempio la quota di iscrizione che doveva essere pagata pure dai relatori e che comprendeva soltanto una cena sociale, né un caffè nelle pause, né un pezzo di carta e penna), l'ho visto soddisfatto del convegno che pure in assenza di diversi grandi nomi per via di una scissione politica tra i professori del settore (altra cosa molto italiana) ha riservato qualche intervento interessante e originale. Ha apprezzato molto i lati positivi dello stile italiano, la spontaneità prima di tutto.
Come impressione generale posso dire che gli italiani spesso fanno sorridere gli stranieri abituati a una maggiore precisione e prevedibilità. Oserei dire che in ambito professionale si tende a non prendervi sul serio, cosa che io personalmente non condivido, ma purtroppo mi è capitato più volte sentire dei commenti anche dispregiativi che qualche collega straniero mi ha confidato sapendo che non sono italiana e non conoscendo il mio legame forte con l'Italia (e mi dispiace sempre enormemente sentire questi commenti). Dall'altro lato però, se si parla di luoghi comuni, devo anche dire che anche se si tende a non prendere gli italiani sul serio, allo stesso tempo stanno simpatici a tutti! Anche questa cosa l'ho notata. Simpatici per la loro spontaneità, gentilezza, apertura mentale e capacità di godersi la vita.
(Ovviamente questo discorso è strapieno di luoghi comuni, quindi tutto quello che ho scritto è da prendere con le pinze.)

La seconda occasione di confronto con i miei connazionali è stata una situazione alla quale sono molto più abituata anche se da un anno che non mi è più capitata. Domenica scorsa ho portato alla Galleria degli Uffizi un gruppetto di ungheresi, tra cui una coppia di amici di mia mamma, che si trovavano in Toscana in vacanza. Mi faceva piacere tornare agli Uffizi, quindi mi sono offerta volentieri a fargli da cicerone.
Certamente l'Italia vista con gli occhi di un turista è tutta un'altra cosa. Passare soltanto qualche giorno in questo paese, concentrandosi sulle bellezze dei posti e osservando tutto da completo estraneo, non ti permette di capire veramente la realtà locale. Nel caso migliore è un respiro profondo dall'anima di un paese, e la sua comprensione dipende dalla sensibilità della persona.

mercoledì 1 giugno 2011

Stockholm Marathon e Fotografiska

Lo scorso fine-settimana sono stata a Stoccolma e ho rivisto alcuni blogger italo-svedesi che avevo conosciuto a ottobre (vedi qui). Sabato c'era la maratona di Stoccolma, con 16 mila partecipanti! Mentre per me è stata la prima maratona che ho seguito dal vivo in vita mia, per Davide invece è stata la prima volta che l'ha fatta (leggete il suo racconto emozionante della gara). Mezza città bloccata, ma il tutto organizzato benissimo, come dagli svedesi si poteva aspettare. A parte i pali lasciati in mezzo alla strada senza segnalazione, per cui abbiamo assistito alla scena di uno sfortunato corridore che ha preso un palo in pieno e poi ha continuato a correre con la testa sanguinante...

L'arrivo della maratona era allo stadio di Stoccolma, un bel stadio costruito di mattoni rossi per le Olimpiadi del 1912, pieno di gente e con musica di sottofondo. E' stato bello vedere l'emozione dei corridori al momento dell'arrivo. Tutta la gara è stata informatizzata, perciò sul sito della maratona si poteva (e tuttora si può) vedere il risultato di tutti i partecipanti, non solo in base al numero di maglia, ma anche in base al nome o nazionalità. Così si può vedere che hanno finito la maratona 352 italiani e 8 ungheresi. :)


Sabato notte mi hanno gentilmente ospitato gli autori di Liv i Stockholm, Giusi e Davide, e mi hanno invitato a una cena di compleanno di un loro amico italiano. Così ho conosciuto un'altra combriccola di italiani che vivono in Svezia, alcuni dei quali toscani, tutti molto simpatici.

La domenica poi ho passato la giornata in giro e sono andata a vedere il Museo di Fotografia, il Fotografiska Museet. E' un museo interamente dedicato all'arte della fotografia che non ha un'esposizione permanente, ma ospita delle mostre temporanee, generalmente 3-4 allo stesso tempo, ognuna delle quali della durata di qualche mese. Questo weekend si poteva visitare tre esposizioni: una di Albert Watson (uno scozzese, ma di fama mondiale), una di Edward Burtynsky (un canadese) e una di Jacob Felländer (uno svedese). Io non conoscevo nessuno dei tre (ma io non conosco i fotografi in generale), ma è stato ancora più interessante così che mi era tutto nuovo. Ho apprezzato soprattutto i primi due, il terzo non tanto. In ogni caso vi consiglio vivamente la visita del museo se capitate a Stoccolma. Si trova in un edificio lungomare e offre anche un bel panorama sulla città.

La mia foto preferita era questa di Watson. Lo riconoscete? :)


P.s.: Oggi siamo a 20 ore e mezza di luce! Il sole tramonta alle 10 di sera! E' ganzo! :) (Che sorga alle 4 di mattina lo è un po' meno...)