mercoledì 21 dicembre 2011

Metafore

Pensieri gettati su un pezzo di carta qualche tempo fa

La mia storia con l'Italia è un po' come una storia d'amore. Una storia finita di recente con tutti gli strascichi che ciò comporta. Ancora un tira e molla. Quella fase in cui la testa razionalmente sa che è finita, ma il cuore non riesce ancora ad accettarlo. Quella fase incerta in cui non puoi ancora sapere quanto tempo ti ci vorrà per superarlo. Se lo supererai. Perché credi ancora che non ci sia niente e nessuno di simile che lo possa sostituire. Quella fase in cui sai che devi tagliare i ponti per non soffrire troppo, ma ancora non ne sei capace e non sai neanche se è la cosa giusta da fare.

L'Ungheria è un'altra cosa. E' il mio paese. Fa parte di me. Visceralmente ed irreversibilmente. E' come un genitore per me. Mi ha dato la vita. So che ci posso sempre contare. So che ci posso sempre tornare e mi aspetta a braccia aperte. Da un genitore puoi passare distante anche tanti anni, anche tutta la vita, e ti aspetterà sempre. Fa parte di te. Visceralmente. Irreversibilmente.

L'amore è un'altra cosa. Ti può abbandonare. Ti può fare del male. L'Italia non è stata amore a prima vista per me. Per niente. All'inizio non mi sentivo a casa. Mi sentivo un'estranea che non capiva tante cose, che non parlava bene la lingua, che non vedeva l'ora di tornare a casa. Si è fatta scoprire pian piano e mi ha fatto innamorare. Forse sono proprio questi gli amori che durano tutta la vita. Non un colpo di testa, ma un amore profondo per qualcuno che conosci bene. Conosci bene anche i suoi difetti e le sue debolezze.

Come descrivere invece il mio rapporto con la Svezia? E' un po' come sposare un uomo che ti dà la stabilità e lo status che hai sempre sognato, ma di cui non sei innamorata. Che ti colpisce razionalmente, ma che non ti fa battere forte il cuore. Chissà però se col tempo, conoscendola meglio, non mi farà innamorare anche lei...

Concludo con una canzone meravigliosa. (Questa volta non ungherese però.)


Love hurts,
Love scars,
Love wounds and mars
Any heart not tough or strong enough
To take a lot of pain, take a lot of pain
Love is like a cloud, it holds a lot of rain
Love hurts,
love hurts.

I'm young,
I know,
But even so
I know a thing or two, I learned from you
I really learned a lot, really learned a lot
Love is like a flame It burns you when it's hot
Love hurts,
love hurts.

Some fools think
Of happiness, blissfulness, togetherness
Some fools fool themselves, I guess
They're not foolin' me
I know it isn't true I know it isn't true
Love is just a lie made to make you blue
Love hurts, 
love hurts.
I know it isn't true
I know it isn't true
Love is just a lie made to make you blue
Love hurts...

sabato 17 dicembre 2011

Un salto in Italia - Impressioni

Sono stata a Trento due giorni per un seminario.

Pensavo di tornare nel paese della luce, invece mi sono scordata che venivo nella Pianura Padana. Mi aspettava la nebbia. Anzi, il tassista mi ha corretto, la foschia. Non nebbia, perché problemi di visibilità non ce ne erano, solo quella cappa fitta nel cielo invece di sole e di azzurro. Questo almeno a Verona dove sono atterrata. A Trento la situazione era già meglio.

Da due mesi che non lasciavo la Svezia. Che gioia sentir parlare italiano intorno a me, poter fare due chiacchere con chiunque, capire subito tutto, riuscire ad esprimermi liberamente e spontaneamente in più di cinque sillabe...

Mi ha aspettato un paese colpito dagli omicidi razzisti di Firenze, commessi proprio sotto casa mia. Cioè sotto l'ultima casa che abbiamo avuto a Firenze. Prima di trasferirmi in Svezia abitavo in piazza Dalmazia. Adoravamo vivere in quella zona, non mancava niente. Una piazza ben servita, piena di negozi, un cinema, un locale rinomato, un lampredottaio, una buona pizzeria, un piccolo mercato tutte le mattine. In quel mercatino ci sono passata mille volte...

Mi ha aspettato anche uno sciopero generale venerdì. Proprio il giorno in cui dovevo tornare all'aeroporto di Verona. Fino alle 17 non passava nessun treno. Meno male un collega veronese mi ha gentilmente accompagnata in macchina.

Giovedì, prima dell'inizio del seminario, ho avuto un'ora libera. Ne ho approfittato per andare a vedere il mercatino di Natale. Quante cosette deliziose. Per pranzo ho preso un succo di mela caldo e un panino con porchetta. Né il pane né la porchetta non c'entravano niente con quelli del Centro Italia. Ho visto un ragazzo (italianissimo) mettere mezzo chilo di maionese sulla porchetta.

Al ritorno, all'aeroporto di Monaco (di Baviera) gli svedesi erano facilmente riconoscibili. Erano quelli con una busta trasparente in mano con un paio di bottiglie di alcolici dentro.

Ora eccomi di nuovo nel paese del buio. Non che in Italia ci sia stata tutta questa luminosità però, diciamocelo... Giovedì prossimo si riparte per le feste.

sabato 10 dicembre 2011

Comprare una macchina (usata) in Svezia

Forse vi ricordate il post sulla ricerca di una nuova macchina e i precedenti. L'abbiamo trovata! Alla fine non è una di quelle tre su cui avevo chiesto il vostro consiglio (e non ne ho ricevuto nessuno), ma una quarta. E' una C3 superaccessoriata del 2009 con soltanto 11 mila km. Siccome è stata la prima volta che ho comprato una macchina in Svezia (dopo una lunga procedura di registrazione della mia macchina ungherese distrutta da quel *!y%<@ vecchietto un tranquillo sabato pomeriggio), ho avuto anche l'occasione di scoprire come funziona il mercato svedese dell'usato... E per tutti i fastidi avuti con le procedure legate all'immigrazione e al personnummer, ti rifai con l'efficienza e la semplicità delle procedure in altri ambiti, come la compravendita delle auto.

La nostra nuova macchinina sotto la prima nevicata dell'anno, 
mercoledì scorso

Come avevo già menzionato, abbiamo usato il mitico Blocket.se che è anche un ottimo strumento per una ricerca di mercato. Salta subito all'occhio la dominanza della Volvo, marchio svedese per eccellenza. Nella nostra regione su 5 mila macchine in vendita più di 800 sono Volvo. Questo significa quasi un quinto del mercato. Un po' meno popolare l'altra marca svedese, la Saab (con 300 macchine in vendita nella regione di Örebro). L'altra cosa più evidente è la predominanza delle macchine di grossa cilindrata. Questo si capisce subito anche semplicemente guardandosi intorno. Per dirla con i numeri, di queste 5000 macchine in vendita soltanto 270 hanno meno di 80 cavalli! Qui certo lo spazio non manca, ma io ho sempre avuto una certa avversione nei confronti delle macchine grosse che mi sembrano più dei treni che delle macchine...

Presa dalla curiosità, esaminando il database di questo sito, ho scoperto che in un mio post scritto un anno fa avevo torto. Scrivendo che qui la macchina non è uno status symbol (che è forse vero), ho anche scritto che si vedono poche Mercedes in giro. Insomma, questo non è vero. Ce ne sono tantissime. Dopo la Volvo e la Volkswagen è la marca più venduta, ha lo stesso share di mercato della Saab, almeno nella nostra regione. Dunque le macchine tedesche sono quelle più popolari, la BMW segue quasi di pari passo la Mercedes, mentre la Opel è un po' indietro. Poi vengono la Ford, le macchine giapponesi (Toyota, Hyundai, Mitsubishi e Nissan) e quelle francesi (Peugeot e Renault prima di tutte). Pochissime Fiat e, stranamente, pochissime Alfa Romeo. E, nonostante sia una marca giapponese, poche Suzuki. Siccome la nostra macchinina distrutta era una Suzuki Swift (che del resto si fabbrica in Ungheria, quindi nel mio paese è parecchio venduta), ho notato subito che sarebbe stato difficile trovarne un'altra uguale. Allora durante una visita a un concessionario di Citroen che vendeva anche Suzuki ho chiesto al venditore come mai ci fossero così poche Suzuki in giro. La risposta era che è perché la Suzuki non produce macchine di grossa cilindrata, quindi non è molto conosciuta in Svezia... E' evidente che qui la Smart serve a ben poco, ma non vedo neanche tutta questa esigenza di macchine grosse... Allo stesso tempo immagino che nella capitale il discorso cambi. Magari la prossima volta che andiamo a Stoccolma ci farò più caso.

Detto questo volevo raccontarvi delle procedure burocratiche da seguire per acquistare una macchina usata. In realtà c'è poco da raccontare. La cosa è semplicissima e velocissima. Abbiamo scelto la macchina e il giorno dopo è stata nostra. L'abbiamo pagata con carta di credito e il concessionario ci ha sistemato l'assicurazione entrando nel database delle compagnie di assicurazione con una propria password, in modo che l'assicurazione fosse subito valida e potessimo subito circolare. Dopo una settimana ci sono arrivati a casa due bollettini da pagare: uno dell'assicurazione e uno per il bollo.

Infine, un'ultima cosa assolutamente da raccontare che ci ha entusiasmato: l'incredibile trasparenza dell burocrazia svedese. Si sa che questo è un paese trasparente, ma continua a sorprenderci, perché non si finisce mai di scoprire fino a che punto. Sul sito del Transportstyrelsen, l'autorità responsabile dei trasporti, sono reperibili tutti i dati di tutte le macchine immatricolate in Svezia. In base al numero della targa puoi accedere (qui) a dati come nome e cognome del proprietario, anno di produzione e di immatricolazione, caratteristiche tecniche (a volte perfino il consumo medio), data dell'ultima revisione, costo del bollo e il numero dei proprietari precedenti. Per fax si può richiedere anche i dati degli ultimi due proprietari precedenti a quello attuale. Così abbiamo fatto noi con tutte le macchine potenzialmente interessanti che siamo andati a provare.


La canzone ungherese in appendice

Dopo alcune canzoni tristi è arrivato il momento di farvi sentire anche una allegra, se no pensate che gli ungheresi sanno fare soltanto musica lagnosa... :) I Beatrice (leggasi come in italiano), una rockband degli anni Ottanta, hanno una canzone molto simpatica che si è soliti urlare cantare in coro alle feste studentesche. E' una specie di "anti-canzoned'amore". Vi traduco il testo, così capite perché.

Ah dimenticavo... pure i Beatrice furono bannati dal regime, tanto per cambiare.

Beatrice - Azok a boldog szép napok

 Quei bei giorni felici

Ormai è solo un ricordo
Quando ancora non c'eri.
Quelle erano le estati vere,
Il tempo vola così veloce.

Quando non sei qui con me,
Mi prende la paura.
Mi sveglio a ogni minimo rumore,
Perché credo che tu sia tornata.

Tu non lo senti,
Non conosci il tormento
Di quando ti fermi per la notte,
E la speranza sogna la solitudine.

Appena arrivi diventa autunno,
E poi ad un tratto inverno,
La terra e il mondo cambiano,
Il vento soffia neve.

Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.
Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.

E' ormai solo un ricordo
Quando non c'eri ancora.
Quelle erano le estati vere,
Il tempo vola così veloce.

Il momento più bello è quando ci salutiamo,
E tu sali sul treno,
Con le lacrime agli occhi penso:
Speriamo che non lo perda!

Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.
Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.

Per il testo in ungherese vedete qui.

mercoledì 7 dicembre 2011

Un punto di vista svedese sull'avvocatura italiana

La settimana scorsa mi è capitato di trovare un articolo molto interessante sugli avvocati italiani, pubblicato sul sito di un giornale svedese. Aftonbladet forse non è il giornale più prestigioso della Svezia, ma questo articolo, effettivamente, descrive la realtà. Fa parte di una serie di cronache scritte da Peter Kadhammar che si è preso l'impegno di fare il giro delle capitali dei paesi europei più afflitti dalla crisi economica. Il suo giro comprende, quindi, una sosta ad Atene, a Roma, a Madrid ed a Lisbona (mica male come gitarella...). In Italia ha scritto cinque articoli, tra cui quello che mi ha attirato l'attenzione in modo particolare. In pratica il giornalista svedese ha accompagnato un giovane avvocato italiano in tribunale e ha seguito la sua giornata di lavoro.


Insieme a Giulia di Piccoli Vichinghi abbiamo tradotto in italiano l'intero articolo (in realtà il grosso del lavoro è stato fatto da lei, io ho dato una mano più che altro con i termini giuridici), così lo può leggere anche chi non capisce lo svedese. Ecco la traduzione:

Roma, Italia: mentre gli avvocati fanno la coda, gli affari stagnano

Una mattina il giovane avvocato Pierpaolo Pomes ci porta in giro per il tribunale civile di Roma. È una visita ai gironi dell'Inferno. Infatti, gli avvocati chiamano uno degli uffici proprio l'Inferno. Si trova nello scantinato dove vengono emessi i decreti ingiuntivi.
È l'inferno perché gli avvocati devono aspettare, aspettare e aspettare in coda. Lo studio di Pierpaolo, avveduto, serio, specializzato in diritto del lavoro, ha assunto un avvocato il cui compito principale è di fare la coda. Come è possibile che si consegua un titolo universitario solo per finire in fondo ad una lunga fila di persone che devono ritirare delle carte?
La risposta è semplice. Con una burocrazia abbastanza complicata e ostile, le forze contro questo ostacolo devono essere massicce, enormi, come un'armata che si lancia all'assalto attraverso il campo di battaglia contro il fuoco nemico. Alla fine qualcuno riuscirà a sopravvivere e a raggiungere l'obiettivo! Solo la città di Roma ha un'armata di 23000 avvocati. Tanti quanti in tutta la Francia. In Svezia ci sono 5 000 avvocati.

Pierpaolo ha studiato all'università e ha fatto pratica all'estero. Giù all'inferno, all'ufficio dei decreti ingiuntivi, una volta stette in coda ad uno sportello per due ore. Doveva ritirare un decreto che il tribunale avrebbe benissimo potuto spedire per posta. Ma il tribunale non lo fa.
Quando fu il turno di Pierpaolo, l'impiegata allo sportello gli disse che aveva fatto la coda sbagliata. - Ritorni un altro giorno! Patapum.
Pierpaolo ha una risata che ricorda quella della stella del cinema Peter Sellers. Gli viene naturale. E' un uomo pacato. A proposito della sua attesa inutile dice solo: "È triste...".
Un altro giorno dopo aver fatto la coda si presentò all'impiegata dello sportello. Doveva registrare un atto di citazione per conto di una società contro un'altra. L'impiegata guardò le firme e, con aria visibilmente irritata, chiese: "E chi mi dice che queste firme sono autentiche?"
Fu troppo anche per il giovane avvocato, che minacciò di chiamare la polizia se l'impiegata non avesse accettato e registrato i documenti.
Giriamo per i corridoi, da edificio ad edificio nel quartier generale della giustizia. Dappertutto c'è molta attività: gli avvocati si affrettano, attendono, fanno la coda, parlano tra loro. Anche i loro clienti si affrettano, attendono, fanno la coda e parlano tra loro. I particolari cambiano continuamente ma nell'insieme è tutto fermo.
Incontriamo una collega di Pierpaolo che sta aspettando dalle 8.40 del mattino. Ora sono le 12.15.  Si torce dall'irritazione, sta per scoppiare. Sta aspettando per sapere quando sarà la prossima udienza per la sua causa. Tra quattro mesi? Sei? Che giorno? Che ora?
Anche queste informazioni si potrebbero inviare per posta, ma perché mai il tribunale dovrebbe prendersi questo disturbo? Gli avvocati possono fare la coda!
In una sala delle udienze siede un giudice con uno spesso maglione blu e gli occhiali che pendono sopra la pancia da un cordicella. Le parti stanno chinate sulla sua scrivania. Indossano le toghe. Dietro di loro, in coda, altri aspettano di sottoporre il proprio caso al giudice.
Un'udienza può richiedere da 30 secondi a due ore. Ma un'udienza è solo una parte di un processo molto, molto lungo. Ecco un abbozzo schematico del purgatorio di un avvocato. Prendiamo per esempio una società che fa causa a un'altra società:

Coda di due ore per registrare l'atto di citazione.
Attesa di 10 giorni per avere la data della prima udienza che sarà di regola dopo 6 mesi.
Coda di 30 minuti alla cancelleria del giudice per ritirare l'atto. Fare una copia della decisione sulla data dell'udienza.
Attesa di 30 minuti per autenticare la copia.
Coda per la notifica 2-3 ore.
Coda all'udienza da 30 minuti a 4 ore.
Udienza di dieci minuti. Il giudice sente i testimoni, chiede i documenti e… "Ci rivediamo tra 5 mesi."
Nuova udienza dopo 5 mesi. Sentenza: La società X deve pagare 10 000 euro di risarcimento.
Dopo alcune settimane viene depositata la motivazione della sentenza. L'avvocato sta in coda per un'ora per ritirarla.
Coda per fare una copia autentica della sentenza. Un'ora.
Coda all'ufficio che appone la formula esectuvia sulla sentenza. Due-tre ore.

Ho sicuramente dimenticato qualcosa. Ma diciamo che un avvocato aspetta in coda - in coda, cioè non studia, argomenta, ricerca né si occupa del caso - per 13 ore. Per un singolo caso. Questo spiega come mai a Roma ci siano 23 000 avvocati.
L'esempio sopra non esagera per niente.
Lo studio di Pierpaolo aveva come cliente un allenatore di tennis a cui fu riconosciuto una somma di 300 000 euro dal suo datore di lavoro a titolo di mancata retribuzione tra il 1975 e il 2004. Aveva anche diritto agli interessi. Un caso complicato. La motivazione della sentenza arrivò dopo 26 mesi!
Questo era naturalmente inaccettabile. Lo studio di Piepaolo ha chiesto un risarcimento allo stato. Il processo è iniziato nel 2008 ed è tuttora in corso.
Oppure prendi l'azienda di caffè che è stata condannata per aver licenziato 15 dipendenti senza giusta causa. Il processo è durato nove anni. Se una delle parti avesse presentato appello sarebbe durato due o tre anni di più. Forse ancora di più.
- Mi sento… impotente... quando sono in coda, dice Pierpaolo.
Non è solo lui ad essere impotente. Il sistema giudiziario italiano è così lento da divenire una minaccia per l'economia della nazione. La Banca Mondiale colloca l'Italia all'87esimo posto nel mondo per quanto riguarda il clima imprenditoriale. Il paese che ha dato al mondo la Ferrari e la Fiat finisce tra la Mongolia e la Giamaica (la Svezia è il numero 14).
Riguardo la possibilità di far rispettare un contratto scritto, l'Italia è al 158 posto su 183, solo due posizioni sopra l'Afganistan ed un bel po' sotto il Sudan (la Svezia è il numero 54).

- Il sistema giudiziario crea insicurezza negli affari, dice Pierpaolo. Un imprenditore non può vivere nell'incertezza per anni, che abbia ragione o torto. Questo paralizza l'economia.
Paolo ha scelto di fare il giurista perché gli piace il ragionamento limpido e logico. Gli chiedo se veda ancora così il diritto. Risponde: - Essere avvocato è vedere le funzioni della società nella loro forma più pura.

Commento mio: purtroppo il giornalista non esagera nella descrizione dei fatti. A Firenze la situazione è meno pesante che a Roma, città più piccola, meno cause, giudici un po' più organizzati (in quanto per esempio la data dell'udienza e la motivazione della sentenza vengono inviate per fax allo studio dell'avvocato), ma i problemi sono gli stessi.

mercoledì 30 novembre 2011

Gli svedesi e gli orari di lavoro

Nel paese forse più organizzato e più efficiente d'Europa viene spontanea la domanda: ma quanto lavorano gli svedesi? La risposta è sorprendente: non molto. O meglio, il giusto! (Lagom, come direbbe uno svedese, appunto). 

Il mio lavoro non è molto indicativo, all'università ci sono orari flessibili come in Italia o in altri paesi. Nessuno controlla a che ora arrivi al lavoro e a che ora vai via, l'importante è che tu faccia quel che devi fare: le tue lezioni, i tuoi esami, le tesi da seguire, la ricerca e le altre cose amministrative. C'è chi ci spende più tempo, c'è chi ci spende meno. A volte puoi anche lavorare da casa se preferisci. Insomma, un po' te lo gestisci il tempo. Io per esempio non porto mai il lavoro a casa (tranne gli esami da correggere), ma piuttosto vado in Dipartimento anche sabato e domenica, per diversi motivi. Prima di tutto a casa ci sono troppe distrazioni, non mi concentro bene, e mi mancano anche tutti i materiali, file, ecc. E, poi, è anche una questione di principio: casa è casa e deve avere questa funzione non quella di "casa che ognitanto si trasforma in posto di lavoro". 
Per farvi avere un'idea dell'organizzazione di lavoro in ambito accademico, ecco qualche mini-fumetto di valore universale, da un sito mitico:


Chiusa questa parentesi, vorrei raccontare degli orari di lavoro svedesi tanto diversi da quelli italiani, fuori dall'ambito accademico. Sono diversi non soltanto perché qui i negozi tutti fanno orario continuato e la pausa pranzo non dura più di una mezz'ora, ma anche perché le ore lavorative in genere vengono severamente rispettate, nonché gli straordinari vengono regolarmente calcolati e pagati. I datori di lavoro non sono affatto interessati a far lavorare i dipendenti oltre l'orario di lavoro regolare, anche perché il compenso per gli straordinari sono tassati pesantemente. Più straordinari uno fa, più costa al datore di lavoro. I principi della socialdemocrazia permeano la vita di questo paese negli ambiti più disparati, anche in quelli dove meno ve lo immaginereste, figuratevi se non si riflettono nel campo del lavoro...

I lavori di ufficio qui iniziano alle 8:00-8:30 e finiscono alle 16:30-17:00. Oggi mi è capitato di uscire dall'università alle 4 e mezza, e le vie principali erano quasi intasate. Almeno pensando in termini svedesi. Qui a Örebro ti può capitare di non riuscire a passare con la prima onda di verde (cioè di dover aspettare due rossi) in due momenti della giornata: tra le 7:30-8:30 di mattina e tra le 16:30-17:30 del pomeriggio. Per trovare un casino vero e proprio però ci vuole la partita di calcio, preferibilmente in fase play-off. (Se il play-off esiste nel campionato di calcio... sono ignorante in materia.)

Ovviamente anche qui c'è chi lavora di più e si fa in quattro per dare il meglio di sè e ci sono altri che si approfittano dei propri diritti e fanno soltanto il minimo indispensabile, però l'impressione generale che ho è che rispetto agli italiani (e ungheresi) mediamente lavorino meno. (Pensate solo alla polizia chiusa tutti i weekend!) Nonostante ciò il paese funziona e anche molto bene. La conclusione che ne ho tratto è che una buona organizzazione risparmia molto tempo ai lavoratori. Certamente la spiegazione non è così semplice. Sono fattori molto importanti l'uniformità del paese, la bassa densità di popolazione e la centralizzazione della gestione delle risorse, nonché il principio di trasparenza tanto caro a questo paese.


Appendice musicale

Questa volta non musica ungherese, ma musica sugli ungheresi. Forse conoscete Johannes Brahms e le sue Danze ungheresi, composte nel 1869, nell'epoca dell'Impero austro-ungarico. Mi piace in modo particolare la n. 4. Credo che si addica perfettamente all'atmosfera di Budapest e allo spirito degli ungheresi: un po' allegro, un po' malinconico, un po' drammatico.

mercoledì 23 novembre 2011

Parlo svedese?

Forse è giusto porsi questa domanda nel post n. 100 di questo blog. Per ora è una domanda, ma sta per trasformarsi in un'affermazione. Non dichiaro ancora tra le mie lingue parlate lo svedese. Anche se capisco abbastanza bene quando lo leggo, non posso dire lo stesso quando lo ascolto. E poi l'ultimo scoglio ancora da superare: non lo parlo fluentemente.

La situazione in Svezia è particolare. Quasi tutti parlano inglese o almeno tutti lo capiscono. E' veramente eccezionale trovare una persona che non capisce l'inglese. Mi è capitato di recente con un venditore di auto, ma avevo dei seri dubbi se non lo capiva per davvero o si rifiutasse di capirlo. In genere tutti capiscono l'inglese - soprattutto come lo parlo io, in termini semplici e con una pronuncia tranquilla - anche perché lo sentono sempre in tv. I numerosi film, serie, reality e talkshow che arrivano dagli Stati Uniti o dall'Inghilterra sono trasmessi in lingua originale con i sottotitoli in svedese. Quindi l'inglese qui ti entra nell'orecchio anche senza volerlo. Si aggiungono poi l'affinità tra le due lingue e le migliaia di parole in comune.

Il punto è che, di conseguenza, qui in Svezia non sei assolutamente costretto a imparare la lingua, ma puoi benissimo cavartela con l'inglese. Ci sono diversi stranieri che vivono qui da tanti anni senza parlare lo svedese. Se non gli serve né al lavoro né a casa, molti non si sentono motivati per impararlo. Allo stato attuale, dunque, io lo svedese tendenzialmente lo capisco, ma lo parlo raramente. Tendo a rispondere in inglese, vuoi per mancanza di pazienza, vuoi per timidezza. Certamente è già un grande passo in avanti iniziare a capire, perché mi oriento e mi muovo molto meglio in qualsiasi contesto, ma è imbarazzante e frustrante non riuscire ad esprimermi in svedese se non al livello di un bambino di cinque-sei anni. Sebbene non mi serva né al lavoro (anche se ultimamente mi sono consapevolmente incollata degli impegni che richiedono la conoscenza dello svedese), tantomento a casa, sento molto l'esigenza di impararlo. La mia vita si è impoverita considerevolmente da quando nella quotidianità non riesco a capire le sfumature in quel che leggo e sento. Per me, curiosa di tutto e soprattutto di tutti, è un grosso limite. E la strada da fare è ancora tanta. Ci vogliono tanti anni per arrivare a un buon livello in una lingua che usi soltanto saltuariamente e non in tutti i contesti.


La canzone ungherese in appendice

Ancora un cantante della generazione dei miei genitori, e una sua bella canzone malinconica. Si tratta di Zorán e la sua Bella Giulia. E' un cantautore di origine serba, nato a Belgrado ma cresciuto in Ungheria. Scrive e canta in ungherese. Anche suo fratello Dusán è un musicista e soprattutto scrittore di testi di canzoni (anche lui scrive in ungherese). Negli anni Sessanta (fino al 1972) entrambi furono membri della beat band Metro.

Zorán - Szép Júlia


Tra noi c'erano un paio di case e forse un anno o due,
E io ero ancora un bambino rispetto a te.
Avevo paura che se te lo dicevo tu ci ridevi,
E avevo paura che te ne fossi già accorta da tempo.

Quante volte sono partito per venire da te,
E tu eri sempre sempre di fretta.
Ti aspettavano in delle macchine lunghe,
E io non ci credevo che non avevo chance.

Mi ricordo che ho pensato: va bene così,
Un giorno avrò fama e denaro,
Starò sotto i riflettori cantando sottovoce,
E allora anche tu mi avresti amato.

Ma nella nostra viuzza fangosa
E' appena accesa qualche luce.
Io avevo sempre freddo quando aspettavo te,
Sento ancora il profumo dell'inverno.

Bella Giulia, bella Giulia,
Forse ormai non ti riconoscerei,
Bella Giulia, bella Giulia,
Rimani allora bella per l'eternità.

Il pubblico rimane all'ombra,
E il mio cuore batte più forte,
A volte mi sembra di vederti qui,
Ma so che non sei mai venuta.

E in una via lontana
Forse piena di lampade luminose,
In macchine da sogno aspettano te,
E tu non guardi più indietro.

Bella Giulia, bella Giulia,
Forse ormai non ti riconoscerei,
Bella Giulia, bella Giulia,
Rimani allora bella per l'eternità.

(Per il testo in ungherese vedete qui.)

sabato 19 novembre 2011

Alla ricerca di una nuova macchina in Svezia

Ho sempre avuto la macchina da quando vivo in Svezia, ma non ne ho mai comprato una qui. Adesso invece ci tocca esplorare il mercato svedese delle macchine (per i motivi vedete il post precedente). Ormai che l'assicurazione ha deciso di non pagarci la riparazione della Suzuki e di farci un'offerta decente per ripagare il valore della macchina, ci siamo attivati per trovarne una nuova. Usata, naturalmente. Nuova costerebbe troppo, e poi una (non molto) usata ci va benissimo.

Abbiamo cominciato la ricerca spulciando tra gli annunci del mitico Blocket.se, sito in cui trovi di tutto e di più, dalle case ai vestiti ai mobili. Ultimamente anche degli annunci di lavoro. La cosa ganza di questo sito è che nella sezione "Bilar" (cioè: macchine) puoi raffinare la ricerca non solo in base alla marca o al prezzo, ma anche in base all'età, al chilometraggio e alla potenza del motore (impostando il minimo e/o il massimo desiderato). Noi siamo alla ricerca di una macchina che costi non più di 100mila corone (10.800 euro), abbia massimo 5 anni, un chilometraggio non superiore a 70 mila km, almeno 60 cavalli, e cinque porte. Queste sono le nostre esigenze. Il database contiene i dati di quasi 5 mila macchine nella regione di Örebro. Di queste non più di cento corrispondono alle nostre esigenze sopra descritte. Una buona metà degli annunci sono inseriti da concessionari. Noi, per motivi pratici, abbiamo limitato la ricerca alle macchine offerte da loro.

In settimana abbiamo visitato due concessionari a Örebro e oggi abbiamo preso una macchinina a noleggio per andare a vedere alcune macchine fuori città. Siamo andati fino a Norrköping, dove abbiamo trovato alcune offerte interessanti. Il sito ti permette di estendere la ricerca alle regioni confinanti con la tua, senza dover fare una ricerca separata per ogni regione. Finora abbiamo visto undici macchine, di cui abbiamo provato otto. E quelli che ci sono piaciute sono:
- una Skoda Fabia 1.4 16v Elegance del 2008, 68mila km, 86 hp, per 82.000 corone (nota negativa: il colore rosso acceso e la forma non proprio bella),
- una VW Polo 1.4 del 2008, 29mila km, 80 hp, per 96.000 corone (nota negativa: il prezzo, ma c'è da considerare che è una Volkswagen, una signora macchina),
- tre Citroen C3 1.4i, 73 hp: una del 2008/12, 44mila km, per 80.000 corone (color bordeaux, almeno non rosso acceso...); una del 2006/10, 60mila km, con il tagliando appena fatto, per 74.000 corone (colore verde chiaro bellino); e una del 2007/01, 32mila km, per 70.000 corone, lo stesso colore verde chiaro (nota negativa: la frizione è forse un po' allentata. Sarà il motivo del prezzo così basso?).

Questi sono i prezzi finali, perché - incredibilmente - siamo riusciti a trattarli praticamente tutti. Sarà che è novembre e per i concessionari è bassa stagione. E sarà che non diamo un'altra macchina usata indietro, ma paghiamo il prezzo intero. Insomma, adesso c'è da decidere. Voi quale scegliereste? Accettiamo volentieri consigli.

Poi ad affare concluso, scriverò più ampiamente del mercato svedese delle macchine usate e delle nostre esperienze. C'è qualche nota interessante.

In appendice vi lascio una canzone ungherese in tema, dal titolo "Corsa, Porsche, amore" ('corsa' nel senso di andare veloce in macchina...). E' una canzone simpatica degli anni Ottanta, molto famosa e popolare in Ungheria. Questa volta non la traduco. Forse si può intuire che non c'è molta poesia nel testo (cioè, in un certo senso sì, perché è un'oda alla velocità, alle macchine e all'amore).

Cserháti Zsuzsa & Charlie: Száguldás, Porsche, szerelem

martedì 13 settembre 2011

Alla scoperta della flora scandinava

Domenica abbiamo passato una giornata da svedesi. Tra svedesi, in un posto da svedesi, dedicandoci a un'attività da veri svedesi... Non ci siete ancora arrivati? Lingonplockning! Ovvero raccolta di mirtilli rossi in un bosco a un'ora da Örebro verso nord. E' stata una gitarella organizzata dal nostro "padrone di casa", il mitico ÖBO, ovvero l'ufficio del comune che gestisce gli affitti comunali. Ognitanto attraversa la nostra buca delle lettere qualche offerta dell'ufficio in questione con proposte di momenti conviviali o sconti su partite di calcio. Questa è stata la prima offerta che ci ha incuriosito, e abbiamo detto: perché no? Appena un mese fa siamo stati a raccogliere mirtilli (quelli blu) in Garfagnana (avevo postato una foto se vi ricordate), e siccome l'abbiamo trovato divertente, era un peccato perdere l'occasione nel Paradiso dei Frutti di Bosco, ovvero in Svezia.

Nel pacchetto erano incluse anche due merende (cioè fika), una la mattina, una nel pomeriggio. Non sapevamo però che la prima avesse luogo all'Opera på Skäret, ovvero a un teatro lirico allestito in mezzo al bosco, collegato direttamente con Stoccolma da una linea ferroviaria, operativo solo d'estate. Dopo il caffè e gli smörgås (panini) offerti sul posto, un tizio dall'aria molto British (ma era svedese) ci ha fatto una breve visita guidata di cui abbiamo capito il giusto... Comunque è stata simpatica questa gitarella da pensionati svedesi (l'età media del gruppo era 65 anni), soprattutto perché abbiamo avuto modo di scoprire la flora nordica.

(Il seguito del racconto svela la mia assoluta ignoranza in materia di botanica!)

Il bosco era così, il terreno ricoperto di una specie di muschio morbidissimo (camminarci sopra è come camminare su un materasso) e pieno di questa erba bianca che da lontano sembra corallo:


La giornata non era delle migliori. Cielo coperto, pioggia a tratti (ovviamente fitta proprio in quelle due ore in cui ci siamo dedicati alla raccolta di mirtilli). Ma avevamo visto le previsioni e ci eravamo attrezzati con stivali e impermeabili, nonché di un aggeggio che facilita la raccolta. L'uso di questo "raccoglibacche" in Italia è vietato, ma qui ce l'hanno tutti e lo vendono tutti i supermercati.


La pianta del mirtillo rosso è molto diversa da quella del mirtillo blu. E' un arbusto molto basso, quindi praticamente lo raccogli per terra. Anche il sapore è molto diverso. Il mirtillo rosso non è dolce, ma aspro, quindi non ti viene voglia di mangiarlo direttamente dalla pianta. Questo senz'altro aumenta l'efficienza della raccolta. :) (In Garfagnana mi sarò mangiato mezzo chilo di mirtillo blu durante la raccolta...)


Tra i mirtilli abbiamo notato anche diversi funghi.


Il risultato della raccolta: 1,6 chili netti di mirtilli rossi! (Di cui un chilo stasera si è trasformato in marmellata...) :)


Il bosco era pieno di funghi di tutti i tipi. Purtroppo, non essendo esperti di funghi, non sapevamo riconoscere quelli commestibili, quindi non ne abbiamo raccolto nessuno. Colgo l'occasione per chiedervi se qualcuno di voi riconosce questi funghi. Alcuni sembrano proprio porcini! Enormissimi! (Se cliccate sulla foto, si ingrandisce.)

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mercoledì 7 settembre 2011

Mi piace della Svezia...

...che la natura è tutta intorno a te, anche in città...
...che vedi i cambiamenti della natura come un documentario sulle stagioni rallentato...
...che il tuo lavoro viene apprezzato, anche economicamente...
...che si vedono tante mamme giovani, anche tra le studentesse universitarie...
...che si vedono tanti padri in giro da soli con bimbi piccini (anche neonati)...
...che non ci sono mai code in città...
...che trovi sempre parcheggio...
...che le case d'inverno sono ben riscaldate...
...che si beve l'acqua del rubinetto, e non c'è da comprare le casse d'acqua al supermercato...
...che i supermercati sono aperti fino a tardi, anche nei giorni festivi...
...che in qualsiasi ristorante l'acqua è gratis...
...che non c'è buca sulla strada che sopravviva per più di qualche settimana...
...la cultura del riciclaggio ed i milioni di negozi di oggetti usati...
...che puoi andare ovunque in bici, perché la città è piena di piste ciclabili, parcheggi per le bici e pompe pubbliche (e gratuite)...

Voi che aggiungereste?

Ho anche una lista "Non mi piace della Svezia...", ma restiamo positivi! :)

venerdì 2 settembre 2011

Bollettino meteorologico n. x

L'autunno è alle porte. Considerando le temperature in realtà è già arrivato un mesetto fa, ma adesso pure la natura inizia a mostrare i primi segni. Ecco qualche foto scattata oggi nel campus:





Temperatura massima media in questo periodo tra i 18 e 20 gradi. Stamattina nebbia fitta fino alle 9 e mezza circa, poi però bellissima giornata di sole con poche nuvole. Speriamo che la storia si ripeti e succeda come l'anno scorso che agosto era grigio e piovoso e dal 1 settembre in punto è arrivato il bel tempo. Per ora il tempo promette bene, speriamo che regga.

Quanto alle ore di luce: oggi il sole è stato sull'orizzonte dalle 6 di mattina alle 8 di sera circa. Adesso le giornate si stanno accorciando di cinque minuti ogni giorno. Mancano ancora 20 giorni all'equinozio d'autunno (di cui avevo già scritto qui l'anno scorso), giorno dal quale le giornate inizieranno ad essere più corte che più a sud.

sabato 27 agosto 2011

La funzione educativa del parcheggio

"Dal parcheggio si conosce il paese" - potrebbe essere un nuovo proverbio. Una mattina questa settimana ho avuto un attimo di sconforto a vedere il parcometro nuovo di zecca nel parcheggio finora gratuito del campus. Il parcheggio davanti all'edificio principale è sempre stato a pagamento, ma se andavi un po' più lontano, in fondo al campus, trovavi un grande parcheggio sterrato e gratuito. Sono andata a vedere meglio questo parcometro, di un colore insolito, rosso, mentre i parcometri sono generalmente blu qui.


Infatti, era un parcometro diverso. Il parcheggio è diventato a pagamento solo per la notte e per i giorni non feriali! Fin qui ancora posso capire la ragione, ma poi ho guardato meglio gli orari: dalle 18 in poi...

Ora... che pure il parcometro presupponga che tu finisci di lavorare alle 17, è una cosa fantastica! Probabilmente si sono sentiti anche generosi a dare un'ora in più per arrivare a riprendere la macchina dopo il lavoro. Il problema è di quelli (pochi e quasi tutti stranieri) che lavorano fino a più tardi. L'anno scorso uscivo dall'università regolarmente alle 19 (senza considerare poi che ogni tanto mi fermavo in palestra che l'università mette a disposizione gratuitamente), e non era raro che nei weekend solitari sono andata a lavorare.

Come si farà, quindi, da ora in poi? Alle 18 ti tocca uscire dal lavoro per pagare il parcheggio o per spostare la macchina nel parcheggio davanti all'edificio principale che invece è a pagamento soltanto fino alle 17 (e solo nei giorni feriali, per fortuna, quindi nel weekend il problema non si pone). D'inverno con meno dieci fuori non è una soluzione molto comoda... L'alternativa è pagare subito la mattina quando parcheggi la macchina per evitare di dover uscire la sera appositamente, ma questo invece presuppone una certa prevedibilità della giornata lavorativa che certo non contraddistingue il lavoro universitario, soprattutto quello di ricerca, in cui un giorno riesci a fare tanto, un altro invece ti manca proprio l'ispirazione. Quindi è difficile prevedere a che ora uscirai la sera.

Meno male che andando un pochino più lontano ancora ho scoperto un altro parcheggio gratuito che mi salva dal dover fare questi ragionamenti tutte le mattine. Ma chissà se prima o poi non introdurranno anche  lì delle misure anti-stacanoviste... Vi terrò aggiornati.

Beh, questo post chiaramente voleva essere ironico. In realtà un'idea ce l'ho del motivo reale dell'introduzione del pagamento notturno e festivo. Quest'anno la sera prima dell'inizio del ponte di Pasqua mi sono accorta che nel parcheggio sterrato e gratuito si è radunato un bel gruppetto di camperisti che, chissà per quale misterioso motivo, ha pensato a passare le feste nel parcheggio dell'università. (Ci sono delle piccole colonne dalle quali possono prendere l'elettricità.) Probabilmente questo nuovo sistema a pagamento è rivolto a loro. Ma far pagare la gente dalle 18 di pomeriggio, non pensando a chi al campus ci lavora, mi sembra davvero irragionevole... (Anche se i parcheggi qui a Örebro hanno un costo ragionevole. Ma comunque.)

Dei parcheggi in Svezia ci sarebbe tanto da dire, come le quattro multe da me finora subite, per quattro motivi completamente diversi. Magari in un altro post...

domenica 7 agosto 2011

Désirée - Una borghese francese alla corte di Svezia

Désirée è un romanzo dell'austriaca Annemarie Selinko del 1951 che al tempo della sua pubblicazione divenne subito un bestseller e la base per un film con Marlon Brando e Jean Simmons. E' il diario immaginario di Désirée Clary (1777-1860), la figlia di un commerciante di seta di Marsiglia, che dopo la rottura del fidanzamento col generale Napoleone Bonaparte per via del matrimonio di lui con Josephine, sposa il generale Jean Baptiste Bernadotte, eletto poi re della Svezia. Della storia dell'ascesa al trono svedese di Bernadotte ho scritto brevemente raccontando della mostra temporanea che avevo visto al Nationalmuseum di Stoccolma (è davvero un peccato non poterla rivedere dopo che ho letto questo libro).

Ho letto il romanzo in ungherese, un libro dalle pagine ingiallite e staccate dalla colla della rilegatura, edizione 1988, prestatomi da un'amica di mia madre. Quanto è bello leggere un libro "vissuto" che sembra avere una storia essa stessa come quella che racconta...

Jean Simmons come Désirée
La storia di Désirée, già di per sé affascinante, mi ha incuriosito ancora di più sapendo che in parte si svolge in Svezia. Ero curiosa come una donna francese, cresciuta a Marsiglia e poi vissuta a Parigi, vivesse un trasferimento in Svezia all'inizio dell'Ottocento, trovandosi involontariamente coinvolta negli eventi storici della sua epoca.

Bernadotte fu eletto Principe Ereditario di Svezia nel 1810 proprio a Örebro. Lui si trasferì subito, e dopo qualche mese lo raggiunsero anche la moglie e il figlio (il piccolo Oscar che all'epoca aveva 12 anni). La verità è che Desirée dopo il primo inverno scappò via dalla Svezia e tornò a vivere a Parigi, senza il figlio che invece rimase col padre. Désirée fece ritorno a Stoccolma soltanto dodici anni dopo, già come regina di Svezia (Carlo XIII, l'ultimo re della casata Holstein-Gottorp, morì nel 1818). Secondo il libro i motivi della sua assenza erano due: da un lato non si trovava bene con i genitori adottivi di suo marito, l'anziana coppia reale svedese, e dall'altro lato si sentiva più utile a Parigi dove poteva offrire rifugio a sua sorella (moglie di un fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte) e ad altri membri della famiglia Bonaparte dopo la caduta di Napoleone, dato che la sua casa parigina in Rue d'Anjou divenne sede del sovrano svedese in Francia. La pagina dedicata a Désirée su Wikipedia racconta più in dettaglio come mai lei non si trovò mai a suo agio alla corte svedese.

E ho scoperto quasi per caso, curiosando su internet, che la sorella in questione, Julie Clary Bonaparte, è morta a Firenze ed è sepolta alla Basilica di Santa Croce, nella cappella adiacente alle cappelle affrescate da Giotto! E' impressionante ed affascinante come noi europei siamo legati con milioni di fili l'uno all'altro. E oggi questo è vero più che mai. Se all'epoca di Désirée la mobilità e gli scambi si limitarono alla nobiltà e all'alta borghesia (che però determinarono il corso della storia), oggi non sono più un privilegio di pochi. Insomma, dopo aver letto Désirée, ero tentata di intitolare questo post "Sentirsi europei"...

Avrei voluto riportare qualche citazione dal libro, ma mi ero scordata di segnare le frasi che meritavano essere citate, e ora non le ritrovo più...

[L'ultima edizione italiana del libro è dell'editore Neri Pozza, del 2009.]

lunedì 1 agosto 2011

La soluzione dell'enigma

Eccomi brevemente di nuovo. Sono poco attiva sul blog ultimamente, credo che sia "l'effetto estate". In questa parte dell'anno si tende a passare il tempo libero diversamente, e non rinchiudendosi in casa davanti al computer. E poi non essendo in Svezia non vi posso raccontare della vita svedese... Sono appena rientrata da una gitarella di tre giorni con lo scooter in Toscana. Ci siamo un po' ricaricati. Questa settimana ci aspetta ancora un po' di lavoro, poi via in Ungheria (dove però invece di un meritato relax dovremo occuparci dei preparativi del matrimonio) e da lì in Svezia.

Insomma, per rimediare un po' alla mia scarsa produttività sul blog, intanto vi lascio la soluzione dell'enigma dei due post precedenti. Ecco i due quadri per intero:

Il primo: Bronzino - La discesa di Cristo al limbo, firmata e datata 1552, dal Museo dell'Opera di Santa Croce (l'originale è grossissima, di circa 3 metri per 2)


Il secondo: Rosso Fiorentino - Mosè difende le figlie di Jetro (1523-1524), dalla Galleria degli Uffizi (dimensione dell'originale: 160 x 117 cm)


La corrente artistica si chiama manierismo, e la raffigurazione dei corpi nudi e l'uso dei colori dovrebbero ricordarvi lo stile di Michelangelo.

lunedì 25 luglio 2011

Indizi per l'enigma

Ringraziando intanto i pochi coraggiosi (anzi, poche coraggiose) che hanno provato ad identificare i due quadri di cui ho fatto vedere un particolare nel post precedente, adesso vi dò qualche indizio più concreto per aiutarvi a trovare la soluzione. L'enigma non è per niente semplice, si tratta di quadri non eccessivamente famosi, tranne se siete proprio appassionati di arte, e in particolare di arte italiana.

Innanzitutto riassumo gli indizi che ho scritto rispondendo ai commenti al post precedente:
  • si tratta di una corrente artistica che, quanto allo stile, ha di gran lunga superato la propria epoca ed ispirato correnti più recenti (il surrealismo in particolare, aggiungo adesso);
  • sono entrambi quadri italiani;
  • si trovano entrambi a Firenze, il secondo alla Galleria degli Uffizi;
  • tutti e due hanno un soggetto religioso, il secondo raffigura una scena dall'Antico Testamento.
Adesso vi faccio vedere un pezzo più grande dei due quadri in questione. Il primo:


Il secondo:
 
E aggiungo alcune informazioni che possono essere d'aiuto:
  • la corrente artistica in questione è apprezzata soltanto dagli inizi del Novecento, il suo nome in origine aveva una valenza dispregiativa;
  • i due quadri non sono opera dello stesso pittore, ma entrambi i pittori sono toscani, quasi coetanei, e sono diventati famosi con un soprannome;
  • il corpo di Cristo nel primo quadro e la gamba muscolosa che si vede nel secondo non vi ricorda lo stile di qualcuno?!?
Che bello che ci possono essere ancora degli enigmi che non si possono risolvere con l'aiuto di Google! :)

venerdì 22 luglio 2011

Due enigmi da risolvere

Passando un pomeriggio libero in giro per Firenze ho (ri)scoperto un quadro con un particolare curioso. Spaventoso ed angosciante, direi. Voi lo riconoscete? Sono curiosa se riuscite a indovinare il pittore o almeno la corrente artistica. E già che ci sono condivido con voi un altro particolare, di un altro quadro, che si trova sempre a Firenze. Non vi rivelo la collocazione dei due quadri (non si trovano nello stesso posto), ma vi dico che fanno parte della stessa corrente artistica. Quale? E chi sono gli autori?

Se non sapete la risposta, provate a tirare a indovinare! :)

Particolare n.1

Ed ecco il secondo:

Particolare n. 2

domenica 3 luglio 2011

Praga vs Budapest

Durante il viaggio in macchina dalla Svezia verso l'Ungheria finalmente ho avuto l'occasione di visitare Praga. Era proprio di strada. Ecco la nostra rotta compiuta in quattro giorni con le nostre tappe: A - Örebro, B - Rostock (con traghetto da Trelleborg), C - Praga (una serata e una mezza giornata di passeggiata), D - Bratislava (in ungherese Pozsony, solo una serata), E - Sopron (breve sosta e visita a un mio amico, compagno dell'università), F - Kaposvár (la città in cui sono cresciuta e dove tuttora vivono i miei). Totale: 2000 km.



Da tempo che l'idea di visitare Praga mi stuzzicava. Non solo perché forse ero rimasta l'ultima ungherese su questa terra che non l'aveva ancora visitata (infatti, anche questa volta era piena di ungheresi), ma anche perché è un classico mettere a confronto la capitale ceca e quella ungherese. Sono le due mete turistiche più popolari dell'Europa dell'Est. Basta digitare su Google "Budapest vs Praga" e trovate un sacco di pagine che discutono questo confronto. C'è chi preferisce l'una, c'è chi preferisce l'altra. Ora finalmente posso dire la mia.

Praga è bellissima, e io ne sono rimasta folgorata! Come scrissi sull'altro blog (ormai 4 anni fa), secondo me certe città hanno l'anima. La senti nell'aria, già nell'avvicinarti a queste città. Praga è decisamente tra queste. Ho sentito la sua anima già nella periferia, appena entrati in città. Non c'era bisogno di Ponte Carlo o Piazza Venceslao. Praga per me è stata una sorpresa, perché mi aspettavo una città vetrina, ormai completamente occidentalizzata. Niente di più sbagliato. E' una città vivissima, piena di storia. Sarà forse dovuta alla mia consapevolezza della storia dell'Europa dell'Est, ma Praga aveva proprio l'atmosfera di una città dal passato sofferto, dalla libertà combattuta. Si percepisce molto anche il passato socialista.

Insomma, mi sono subito sentita a casa! Siamo capitati in un albergo in pieno stile szocreál (come si dice in ungherese), cioè di realismo socialista, in cui il signore della reception, sulla sessantina, vestito come se fossimo ancora negli anni Ottanta (occhiali compresi), quando ha visto il mio passaporto ungherese, ha iniziato a parlarmi nella mia lingua! Allora... non mi capita spesso sentire degli stranieri parlare in ungherese, anzi, è un evento alquanto eccezionale. E lo parlava davvero decentemente. Con forte accento, ma con una buona proprietà di linguaggio, e forse non con le parole più giuste, ma è riuscito a spiegarmi tutto quello che voleva. Mi ha detto che in epoca socialista andava sempre in vacanza a Siófok, al lago Balaton in Ungheria (sarebbe da scrivere un post a parte sulle vacanze all'interno del blocco sovietico...). Tanto di cappello se è riuscito a imparare l'ungherese semplicemente andandoci in vacanza! Nell'albergo in questione in camera c'era l'immancabile moquette, arredamento di stile szocreál anni Ottanta e dei tappeti uguali a come ce l'aveva mia nonna fino a dieci anni fa. (Ma vendevano un solo tipo di tappeto in tutto il blocco sovietico?!?) Che strana sensazione che era... Ero a casa e non ero a casa. Mi sembrava tutto così familiare, ma allo stesso tempo parlavano una lingua che non c'entra niente con la mia. Mai sentito così forte il legame con gli altri paesi dell'Europa centro-orientale (ho il sospetto che avrei la stessa sensazione in Polonia, se è possibile ancora più forte).

Che dire del confronto Praga-Budapest? Ascoltando le persone che hanno visitato tutte e due, e curiosando un po' sui forum su internet, vedo che la scelta è molto soggettiva. Non c'è una più bella o più interessante in assoluto. Dipende un po' da cosa cerchi e da cosa ti capita. In generale ho notato che gli americani preferiscono Praga, dicendo che è più bella, mentre i giovani italiani preferiscono Budapest quando si tratta di andare a divertirsi e vivere la città di notte. Come sapete, io di Budapest sono innamorata, e sono di parte. Per me il Danubio e il panorama che offre sulla città è assolutamente magico che mi ha sempre affascinato ed emozionato. A Budapest in più c'è il mio popolo che parla la mia lingua. In generale credo Budapest e Praga offrino la stessa ricchezza di storia e di monumenti e abbiano lo stesso fascino. Quello che a Budapest non si può più trovare, è il centro medievale che a Praga invece fortunatamente è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale. Per il resto in molte parti della città mi sembrava di essere a Budapest.

venerdì 24 giugno 2011

Svedesità dalla A alla Ö

Eccoci in Svezia. Per poco più di una settimana prima di partire per l'Ungheria e da lì nuovamente in Italia.

Verso la fine del mio primo anno in Svezia posso dire di avere un'idea di quello che è questo paese e che sono i suoi abitanti. Ho imparato molto della Svezia, ma ancora non abbastanza. Mi piace, la trovo intrigante e piacevole. Se una volta ho dovuto lasciare l'Italia, credo che la Svezia sia stata un'ottima scelta, anche se in realtà casuale (leggete qui). Certo, sarebbe stato meglio non dover lasciare l'Italia, ma come direbbe un ungherese "ez van, ezt kell szeretni", ovvero è così, ed è da farmi piacere questo (traduzione approssimativa).

In questo post vorrei condividere con voi parte di quello che ho imparato di questo popolo in questi dieci mesi. Ci sono diverse parole svedesi che sembrano contraddistinguere questa gente, e io provo a proporvele in ordine alfabetico. Come già spiegato in un post precedente, nell'alfabeto svedese le vocali strane si trovano in fondo, perciò in svedese non si dice "dalla A alla Z", ma "dalla A alla Ö". 

Ecco alcune parole che dopo qualche mese in Svezia non si può non conoscere:

A come Anmälning, meglio traducibile con la parola inglese application. In italiano può essere una domanda o un'iscrizione. Insomma, strumento indispensabile della burocrazia che regna pure in Svezia.

B come Blommor ovvero fiori. Gli svedesi li adorano.

C come Cykla ovvero andare in bici. Piste ciclabili ovunque (certo lo spazio non manca), pompe gratis in giro per la città.

D come Drottninggatan ovvero Via della Regina. Una via con questo nome c'è in ogni città svedese. I motivi credo che siano evidenti (come anche il fatto che ci sia sempre anche una Kungsgatan ovvero Via del Re.)

F come Fika, la famosa parola che si presta tanto facilmente a scherzi tra gli italiani, ma che significa semplicemente pausa caffè. Si presta a scherzi pure tra gli ungheresi, anche se il significato è diverso. Fika in ungherese è una parola slang e indica il moccio (del naso), nonché in forma verbale significa parlare male di qualcuno. Ma non è per questo che ho scelto questa parola per la lettera F, ma perché per davvero contraddistingue il popolo svedese ed è una delle prime cose che impari venendo qui. La sacrosanta fika in ogni posto di lavoro tutte le mattine e tutti i pomeriggi, alle quali io partecipo raramente, per vari motivi (già spiegati una volta qui).

H come Hej ovvero ciao. La prima volta che uno viene in Svezia rimane un po' perplesso quando sente dire ovunque "Hej!". Dalle nostre parti (sia in Italia che in Ungheria) suona un saluto rozzo, qui invece è quello consueto e ufficiale. Lo puoi dire a chiunque, indipendentemente da età e stato sociale.

I come Innebandy ovvero floorball. E' uno sport molto popolare in Svezia, una specie di hockey senza ghiaccio.

J come Jättebra ovvero benissimo. E in generale il prefisso jätte, equivalente del suffisso italiano -issimo, il cui uso dilaga. Se vuoi sembrare una persona ben integrata nella società svedese, ci vuole almeno un jätte in ogni frase, che esso sia jättebra, jätterolig (divertentissimo) o jättefin (bellissimo, ganzo).

K come Kränka ovvero violare. Mi è stato spiegato che questo verbo è tipicamente svedese. Significa violare i diritti di un'altra persona, interferire nella libertà altrui, insultare, umiliare. La radice è krank che significa "malato" o "cattivo".

L come Lagom. La Parola Svedese per eccellenza. Intraducibile. Significa più o meno "il giusto", nel senso che né troppo, né troppo poco. La giusta via di mezzo, la misura giusta. Insomma, come meglio esprimere la svedesità con una sola parola?

M come Midsommar ovvero mezza estate. La festa più sentita della Svezia, in cui festeggiano l'arrivo dell'estate, che risale ad epoche pre-cristiane. Potete leggerne di più qui oppure sul blog di Morgaine che lo descrive perfettamente con la sua solita ironia divertente. 

P come Pappaledighet ovvero congedo parentale per padri, di cui avvalersi qui è la regola. Consiglio la lettura del blog di un padre italiano che vive in Svezia e racconta la sua esperienza di congedo parentale. Fatto sta che qui è del tutto normale vedere uomini (cioè maschi) per strada con la carrozzina o un bambino piccino e senza una donna nelle vicinanze. 

S come Sambo. Questa parola che sembra una danza latino-americana in realtà significa convivente. Proprio letteralmente: sam-bo = con-vivente. Ci sono molte coppie che non si sposano ma rimangono sambo, come del resto anche in altri paesi europei, ma la cosa che trovo curiosa è proprio questa parola, con la quale gli svedesi si riferiscono al compagno/a. Dicono "il mio convivente", min sambo. 

V come Vecka ovvero settimana. Il punto di riferimento organizzativo degli svedesi. Contano l'anno in settimane. Se hai un lavoro in Svezia ci devi fare l'abitudine. Un impegno non sarà dal 20 al 26 giugno, ma nella 25esima settimana.

Å come Åsikt ovvero punto di vista, opinione.

Ä come Älg ovvero alce, l'animale simbolo della Svezia.



Ö come Öl ovvero birra. Anche se gli svedesi bevono tutti i tipi di alcool immaginabili, la birra è sicuramente fra quelli più graditi e, al contrario del vino, la producono anche.

(Scusate se mancano alcune lettere dell'alfabeto, ma per quelle non mi è venuto in mente proprio niente...)

Trevlig Midsommar till alla! (Buona Festa di Mezza Estate a tutti!)

sabato 18 giugno 2011

L'Italia vista con gli occhi di un ungherese

Non i miei. Quelli di altri ungheresi. I miei occhi ormai non sono più gli occhi di un estraneo. Da tanto che non avevo l'occasione di vedere l'Italia con gli occhi dei miei connazionali. Invece durante questo soggiorno in terra italica mi si sono presentate addirittura due occasioni, per giunta in due situazioni molto diverse. Con conclusioni diverse.

Per primo un convegno di tre giorni nel Nord Italia al quale ho fatto un intervento insieme a un collega ungherese che è venuto da Budapest appositamente. Un collega che non conosceva affatto l'ambiente accademico italiano, non è mai stato in Italia prima se non da bambino per una breve vacanza e, logicamente, non parla italiano. Il convegno si era autodichiarato internazionale, con un call for papers aperto anche a ricercatori stranieri, per cui avevo avuto la pensata di invitare il mio collega ungherese con il quale sto lavorando su un articolo che pubblicheremo insieme in inglese, e il convegno sembrava (ed era) un'ottima occasione per presentare il nostro lavoro e magari ricevere qualche commento costruttivo. Anche se alla fine eravamo pochi relatori stranieri, il programma prometteva bene lo stesso perché diversi titoli di inverventi di colleghi italiani erano in inglese. Fatto sta che tutti, ma proprio tutti i relatori italiani hanno parlato in italiano! Meno male che il mio collega, parlando benissimo il francese e avendo studiato per diversi anni il latino, bene o male è riuscito a seguire gli interventi, soprattutto se i relatori usavano delle presentazioni proiettate (spesso scritte in inglese ma, mistero della sorte, spiegate sempre in italiano...).
Quindi il mio collega abituato, come confronto con l'Europa occidentale, all'ambiente accademico belga in cui aveva passato un periodo e che è caratterizzato (per come mi ha raccontato lui) da una conoscenza impeccabile della lingua inglese in cui ti fanno notare pure i minimi errori di pronuncia, è rimasto abbastanza sorpreso. E' riuscito però a cogliere il lato positivo e mi diceva che almeno si sentiva meno sotto pressione per la sua conoscenza dell'inglese. Peccato che è rimasto poi fregato dal fatto che la nostra relazione era preceduta dall'intervento di un collega belga che nonostante il suo inglese oxfordiano perfetto, visto l'andazzo delle cose, ha deciso di parlare in italiano (altrettanto ottimo), e la sua presenza ha compromesso un po' la leggerezza del mio collega. Insomma, tutto sommato, nonostante qualche nota negativa riguardo all'organizzazione (per esempio la quota di iscrizione che doveva essere pagata pure dai relatori e che comprendeva soltanto una cena sociale, né un caffè nelle pause, né un pezzo di carta e penna), l'ho visto soddisfatto del convegno che pure in assenza di diversi grandi nomi per via di una scissione politica tra i professori del settore (altra cosa molto italiana) ha riservato qualche intervento interessante e originale. Ha apprezzato molto i lati positivi dello stile italiano, la spontaneità prima di tutto.
Come impressione generale posso dire che gli italiani spesso fanno sorridere gli stranieri abituati a una maggiore precisione e prevedibilità. Oserei dire che in ambito professionale si tende a non prendervi sul serio, cosa che io personalmente non condivido, ma purtroppo mi è capitato più volte sentire dei commenti anche dispregiativi che qualche collega straniero mi ha confidato sapendo che non sono italiana e non conoscendo il mio legame forte con l'Italia (e mi dispiace sempre enormemente sentire questi commenti). Dall'altro lato però, se si parla di luoghi comuni, devo anche dire che anche se si tende a non prendere gli italiani sul serio, allo stesso tempo stanno simpatici a tutti! Anche questa cosa l'ho notata. Simpatici per la loro spontaneità, gentilezza, apertura mentale e capacità di godersi la vita.
(Ovviamente questo discorso è strapieno di luoghi comuni, quindi tutto quello che ho scritto è da prendere con le pinze.)

La seconda occasione di confronto con i miei connazionali è stata una situazione alla quale sono molto più abituata anche se da un anno che non mi è più capitata. Domenica scorsa ho portato alla Galleria degli Uffizi un gruppetto di ungheresi, tra cui una coppia di amici di mia mamma, che si trovavano in Toscana in vacanza. Mi faceva piacere tornare agli Uffizi, quindi mi sono offerta volentieri a fargli da cicerone.
Certamente l'Italia vista con gli occhi di un turista è tutta un'altra cosa. Passare soltanto qualche giorno in questo paese, concentrandosi sulle bellezze dei posti e osservando tutto da completo estraneo, non ti permette di capire veramente la realtà locale. Nel caso migliore è un respiro profondo dall'anima di un paese, e la sua comprensione dipende dalla sensibilità della persona.

mercoledì 1 giugno 2011

Stockholm Marathon e Fotografiska

Lo scorso fine-settimana sono stata a Stoccolma e ho rivisto alcuni blogger italo-svedesi che avevo conosciuto a ottobre (vedi qui). Sabato c'era la maratona di Stoccolma, con 16 mila partecipanti! Mentre per me è stata la prima maratona che ho seguito dal vivo in vita mia, per Davide invece è stata la prima volta che l'ha fatta (leggete il suo racconto emozionante della gara). Mezza città bloccata, ma il tutto organizzato benissimo, come dagli svedesi si poteva aspettare. A parte i pali lasciati in mezzo alla strada senza segnalazione, per cui abbiamo assistito alla scena di uno sfortunato corridore che ha preso un palo in pieno e poi ha continuato a correre con la testa sanguinante...

L'arrivo della maratona era allo stadio di Stoccolma, un bel stadio costruito di mattoni rossi per le Olimpiadi del 1912, pieno di gente e con musica di sottofondo. E' stato bello vedere l'emozione dei corridori al momento dell'arrivo. Tutta la gara è stata informatizzata, perciò sul sito della maratona si poteva (e tuttora si può) vedere il risultato di tutti i partecipanti, non solo in base al numero di maglia, ma anche in base al nome o nazionalità. Così si può vedere che hanno finito la maratona 352 italiani e 8 ungheresi. :)


Sabato notte mi hanno gentilmente ospitato gli autori di Liv i Stockholm, Giusi e Davide, e mi hanno invitato a una cena di compleanno di un loro amico italiano. Così ho conosciuto un'altra combriccola di italiani che vivono in Svezia, alcuni dei quali toscani, tutti molto simpatici.

La domenica poi ho passato la giornata in giro e sono andata a vedere il Museo di Fotografia, il Fotografiska Museet. E' un museo interamente dedicato all'arte della fotografia che non ha un'esposizione permanente, ma ospita delle mostre temporanee, generalmente 3-4 allo stesso tempo, ognuna delle quali della durata di qualche mese. Questo weekend si poteva visitare tre esposizioni: una di Albert Watson (uno scozzese, ma di fama mondiale), una di Edward Burtynsky (un canadese) e una di Jacob Felländer (uno svedese). Io non conoscevo nessuno dei tre (ma io non conosco i fotografi in generale), ma è stato ancora più interessante così che mi era tutto nuovo. Ho apprezzato soprattutto i primi due, il terzo non tanto. In ogni caso vi consiglio vivamente la visita del museo se capitate a Stoccolma. Si trova in un edificio lungomare e offre anche un bel panorama sulla città.

La mia foto preferita era questa di Watson. Lo riconoscete? :)


P.s.: Oggi siamo a 20 ore e mezza di luce! Il sole tramonta alle 10 di sera! E' ganzo! :) (Che sorga alle 4 di mattina lo è un po' meno...)