Non i miei. Quelli di altri ungheresi. I miei occhi ormai non sono più gli occhi di un estraneo. Da tanto che non avevo l'occasione di vedere l'Italia con gli occhi dei miei connazionali. Invece durante questo soggiorno in terra italica mi si sono presentate addirittura due occasioni, per giunta in due situazioni molto diverse. Con conclusioni diverse.
Per primo un convegno di tre giorni nel Nord Italia al quale ho fatto un intervento insieme a un collega ungherese che è venuto da Budapest appositamente. Un collega che non conosceva affatto l'ambiente accademico italiano, non è mai stato in Italia prima se non da bambino per una breve vacanza e, logicamente, non parla italiano. Il convegno si era autodichiarato internazionale, con un call for papers aperto anche a ricercatori stranieri, per cui avevo avuto la pensata di invitare il mio collega ungherese con il quale sto lavorando su un articolo che pubblicheremo insieme in inglese, e il convegno sembrava (ed era) un'ottima occasione per presentare il nostro lavoro e magari ricevere qualche commento costruttivo. Anche se alla fine eravamo pochi relatori stranieri, il programma prometteva bene lo stesso perché diversi titoli di inverventi di colleghi italiani erano in inglese. Fatto sta che tutti, ma proprio tutti i relatori italiani hanno parlato in italiano! Meno male che il mio collega, parlando benissimo il francese e avendo studiato per diversi anni il latino, bene o male è riuscito a seguire gli interventi, soprattutto se i relatori usavano delle presentazioni proiettate (spesso scritte in inglese ma, mistero della sorte, spiegate sempre in italiano...).
Quindi il mio collega abituato, come confronto con l'Europa occidentale, all'ambiente accademico belga in cui aveva passato un periodo e che è caratterizzato (per come mi ha raccontato lui) da una conoscenza impeccabile della lingua inglese in cui ti fanno notare pure i minimi errori di pronuncia, è rimasto abbastanza sorpreso. E' riuscito però a cogliere il lato positivo e mi diceva che almeno si sentiva meno sotto pressione per la sua conoscenza dell'inglese. Peccato che è rimasto poi fregato dal fatto che la nostra relazione era preceduta dall'intervento di un collega belga che nonostante il suo inglese oxfordiano perfetto, visto l'andazzo delle cose, ha deciso di parlare in italiano (altrettanto ottimo), e la sua presenza ha compromesso un po' la leggerezza del mio collega. Insomma, tutto sommato, nonostante qualche nota negativa riguardo all'organizzazione (per esempio la quota di iscrizione che doveva essere pagata pure dai relatori e che comprendeva soltanto una cena sociale, né un caffè nelle pause, né un pezzo di carta e penna), l'ho visto soddisfatto del convegno che pure in assenza di diversi grandi nomi per via di una scissione politica tra i professori del settore (altra cosa molto italiana) ha riservato qualche intervento interessante e originale. Ha apprezzato molto i lati positivi dello stile italiano, la spontaneità prima di tutto.
Come impressione generale posso dire che gli italiani spesso fanno sorridere gli stranieri abituati a una maggiore precisione e prevedibilità. Oserei dire che in ambito professionale si tende a non prendervi sul serio, cosa che io personalmente non condivido, ma purtroppo mi è capitato più volte sentire dei commenti anche dispregiativi che qualche collega straniero mi ha confidato sapendo che non sono italiana e non conoscendo il mio legame forte con l'Italia (e mi dispiace sempre enormemente sentire questi commenti). Dall'altro lato però, se si parla di luoghi comuni, devo anche dire che anche se si tende a non prendere gli italiani sul serio, allo stesso tempo stanno simpatici a tutti! Anche questa cosa l'ho notata. Simpatici per la loro spontaneità, gentilezza, apertura mentale e capacità di godersi la vita.
(Ovviamente questo discorso è strapieno di luoghi comuni, quindi tutto quello che ho scritto è da prendere con le pinze.)
La seconda occasione di confronto con i miei connazionali è stata una situazione alla quale sono molto più abituata anche se da un anno che non mi è più capitata. Domenica scorsa ho portato alla Galleria degli Uffizi un gruppetto di ungheresi, tra cui una coppia di amici di mia mamma, che si trovavano in Toscana in vacanza. Mi faceva piacere tornare agli Uffizi, quindi mi sono offerta volentieri a fargli da cicerone.
Certamente l'Italia vista con gli occhi di un turista è tutta un'altra cosa. Passare soltanto qualche giorno in questo paese, concentrandosi sulle bellezze dei posti e osservando tutto da completo estraneo, non ti permette di capire veramente la realtà locale. Nel caso migliore è un respiro profondo dall'anima di un paese, e la sua comprensione dipende dalla sensibilità della persona.
Quindi il mio collega abituato, come confronto con l'Europa occidentale, all'ambiente accademico belga in cui aveva passato un periodo e che è caratterizzato (per come mi ha raccontato lui) da una conoscenza impeccabile della lingua inglese in cui ti fanno notare pure i minimi errori di pronuncia, è rimasto abbastanza sorpreso. E' riuscito però a cogliere il lato positivo e mi diceva che almeno si sentiva meno sotto pressione per la sua conoscenza dell'inglese. Peccato che è rimasto poi fregato dal fatto che la nostra relazione era preceduta dall'intervento di un collega belga che nonostante il suo inglese oxfordiano perfetto, visto l'andazzo delle cose, ha deciso di parlare in italiano (altrettanto ottimo), e la sua presenza ha compromesso un po' la leggerezza del mio collega. Insomma, tutto sommato, nonostante qualche nota negativa riguardo all'organizzazione (per esempio la quota di iscrizione che doveva essere pagata pure dai relatori e che comprendeva soltanto una cena sociale, né un caffè nelle pause, né un pezzo di carta e penna), l'ho visto soddisfatto del convegno che pure in assenza di diversi grandi nomi per via di una scissione politica tra i professori del settore (altra cosa molto italiana) ha riservato qualche intervento interessante e originale. Ha apprezzato molto i lati positivi dello stile italiano, la spontaneità prima di tutto.
Come impressione generale posso dire che gli italiani spesso fanno sorridere gli stranieri abituati a una maggiore precisione e prevedibilità. Oserei dire che in ambito professionale si tende a non prendervi sul serio, cosa che io personalmente non condivido, ma purtroppo mi è capitato più volte sentire dei commenti anche dispregiativi che qualche collega straniero mi ha confidato sapendo che non sono italiana e non conoscendo il mio legame forte con l'Italia (e mi dispiace sempre enormemente sentire questi commenti). Dall'altro lato però, se si parla di luoghi comuni, devo anche dire che anche se si tende a non prendere gli italiani sul serio, allo stesso tempo stanno simpatici a tutti! Anche questa cosa l'ho notata. Simpatici per la loro spontaneità, gentilezza, apertura mentale e capacità di godersi la vita.
(Ovviamente questo discorso è strapieno di luoghi comuni, quindi tutto quello che ho scritto è da prendere con le pinze.)
La seconda occasione di confronto con i miei connazionali è stata una situazione alla quale sono molto più abituata anche se da un anno che non mi è più capitata. Domenica scorsa ho portato alla Galleria degli Uffizi un gruppetto di ungheresi, tra cui una coppia di amici di mia mamma, che si trovavano in Toscana in vacanza. Mi faceva piacere tornare agli Uffizi, quindi mi sono offerta volentieri a fargli da cicerone.
Certamente l'Italia vista con gli occhi di un turista è tutta un'altra cosa. Passare soltanto qualche giorno in questo paese, concentrandosi sulle bellezze dei posti e osservando tutto da completo estraneo, non ti permette di capire veramente la realtà locale. Nel caso migliore è un respiro profondo dall'anima di un paese, e la sua comprensione dipende dalla sensibilità della persona.
3 commenti:
Ma che intendi quando parli di spontaneità? Mi puoi fare qualche esempio? Chiedo perchè forse essendo italiana, le cose che tu consideri spontanee a me sembrano normali e non le noto.
Per spontaneità intendo lasciarsi andare al momento, non fare progetti precisi, ma agire senza rifletterci sopra. Spontaneità dovrebbe essere l'opposto della progettazione. E'un atteggiamento che, secondo me, aiuta la creatività perché accetta le contraddizioni e le incoerenze e dà spazio agli istinti.
Secondo me la disorganizzazione italiana è, almeno in parte, sintomo di questa mentalità. (Poi ovviamente ci sono altri fattori, come l'obiettiva difficoltà di organizzare un paese così complesso.)
La settimana scorsa sono stato in Italia per una settimana di vacanza e perchè ci tenevo a votare, una delle cose che ho detto al mio ritorno in Svezia a chi mi chiedeva com'è stata la vacanza in Italia è stata che l'Italia è uno dei posti migliori dove andare in vacanza per il clima, il cibo, le bellezze culturali, la gente, ma è un Paese in cui per chi è abituato all'organizzazione Scandinava, ma non solo, è difficile viverci. :)
Posta un commento